lunedì 19 gennaio 2015

Stati di depressione e whisky. 11

Sento scorrere la linfa di Larish, la mia ricambia quella sorta di bollente simbiosi. Con i piedi sul suolo niente mi sfugge se si muove, e molto si muove non lontano da qui. C'è chi ha sentito la nostra uscita, c'è chi si muove per incatenarmi ancora e io non voglio.
Conficco Larish sull'arido terreno intriso di rosso, la lascio andare con un po' di me addosso, le sue urla svegliano i resti umani che ora mi appartengono. Non avranno suono se non il mio, non avranno volontà se non quella che riceveranno da me.
Andiamo, perché l'Ombra arriva alla luce del sole con un altro esercito senza propria volontà. Andiamo perché Kruor non mi incatenerà di nuovo, andiamo perché i suoi complici non sopravviveranno. Adesso sei il primo, non ho fretta per gli altri. Larish, vieni con me. Melrahsher, mordi e brucia.
Aspettiamo che compaiano, in silenzio corriamo appena ci scorgono. Siamo davanti a loro. Davanti a Kruor, Ombra materiale. Forte Larish segue il mio braccio, con violenza trova solo vento. Il codardo si è abbassato, non combatte e scappa con il resto dei suoi tirapiedi. I caduti diventano tutti miei. Scappa terrorizzato, scappa ai confini della luce, dove le ombre si riparano. La terra ingoia le carcasse semivive che mi hanno servito. Possono andare, ma in me mi nutriranno e saranno sabbia. Cominciamo a camminare, cammineremo per tanto tempo, fino a che qualcuno non sarà degno di ospitarmi nel suo fragile essere mortale.
Risalii annaspando, sputando fanghiglia verde. Forse era chiaro, forse ero portatore sano di sfiga e avevo beccato l'unico vendicativo dio elementale della terra. Anzi: mi aveva beccato. Zephir sedeva con gli occhi chiusi sul pouf sabbioso e aspettava che mi trascinassi melmoso fuori dalla pozzanghera, profumato come un germoglio di merda. Socchiuse gli occhi:
- Ora conosci.
- Ora 'sticazzi. Come esco?
- Keshkesé è stato distrutto dalla frana che l'ha inghiottito, ha preso quel che poteva per ricostruirsi.
- Ti ho fatto un'altra domanda. E non era: “Ti scongiuro, mi racconti qualcosa di cui non me ne frega un cazzo?”.
Sorrise e non aveva denti. Sollevò il braccio light e puntò un dito non troppo carnoso verso l'uscita, indicando l'orizzonte. Un'enorme e nebbiosa colonna viola si ingrossava e tornava lentissimamente esile in lontananza:
- Devi andare.
- Almeno faccio qualcosa di diverso dal nuotare.
Mi ero stancato di quell'ex mercenario in pensione, e uscii senza salutare. Che maleducato che sono. Camminai con calma, e stavolta nessun “tatatata” mi seguì. Sentii più che udire le loro voci, ero già lontano una ventina di metri:
- Ascolta solo la tua rabbia.
- Buona della sorte che pensa a tu Jekepenra!
- Andate a fare in culo.
Non c'erano strade o sentieri. Avanzavo su massi gettati a caso da un architetto dislessico, affondavo nelle dune e andavo avanti, pensando a svariati modi per massacrare di calci quel culo franoso di Ba'al. Davanti a me cominciavano ad apparire le sagome rettangolari e mezzo sepolte della città che aveva inghiottito quel coso, prima di far incazzare gli altri cosi. Tutti edifici che non superavano i tre piani, trasformati in pietra o di pietra, poco mi interessava. Mi incuriosiva però il fatto che molti di questi erano stati quasi rosicchiati, più che erosi.
La mia curiosità però fortunatamente non è invasiva, e trova il modo di sparire subito.
Stavo per entrare nel deposito di case, il suolo sembrava essere più agevole e le strade erano comode. Il soffio del vento era l'unica cosa che accompagnava le mie riflessioni sulla vita e il non essere parsimonioso nel distribuire pugni a un certo grugno ocra. Era una frana costante, sommessa. Un sasso che rotolava trascinandone altri più piccoli. E arrivava dalla mia destra, dietro l'angolo di una casa a due piani. La terra si smosse come un'onda e una specie di lumaca gigante ne era la causa. Si fermò masticando e mi guardò. Gli occhi mi lacrimavano, il naso mi bruciava: puzzava tremendamente, un misto di putrefatto e scorregge. Mi guardava e masticava, masticava i muri e guardava me. Avrei dovuto procurare una maglietta con la scritta “velenoso”, anche se guardando il puzzomollusco, le possibilità di salvarsi sarebbero state assenti.
Scappo? Resto? Muoio soffocato? Merda.
Decisi di far finta di niente e cercare di resistere al fetore, cambiando strada per star lontano e continuare ad andare avanti. Piano, senza movimenti bruschi e con indifferenza, girai l'angolo a sinistra. Quella cosa mi seguiva, sembrava borbottasse e rideva ogni tanto. Mi voltai ed era a due passi da me, informe per il suo grasso di terra, e senza collo si allungava per guardarmi:
- Cosa diavolo vuoi?
- IoticonoscolosoperchéèpropriocosìAHAHAHAHAHAhaiunbuonodoredicucina!
- Se mi conosci, sai che non ho tempo e non mi va di stare qui. Addio.
-Latuaèunamancanzadifiducianondicobugiedaquandohopersotredicichilieorasonomagra.
- E prima com'eri? Lascia perdere, meglio che vada via, non riesco a respirare.
- GuardacheQrateeahnonpuzzaèunadisfunzionepercolpadellallergiacheho.
- Non mi interessa!
Cominciai a correre, non si era accorta che andavo via e continuava a parlare. Strisciava lentamente e ruttava, ancora qualche decina di metri e sarei stato abbastanza lontano per respirare di nuovo. Quella cosa doveva essere quell'unica che mangiava, secondo il barbavecchio e il granchio. La seconda che Ba'al aveva assorbito. Dopo un po' riuscii ad apprezzare l'odore della terra marcia: tutto era meglio di quella roba. Ripresi a camminare e sollevando lo sguardo, il colore violaceo dell'immensa colonna in fondo si faceva più nitido e meno lontano, altre costruzioni si avvicinavano, polvere scura si sollevava ai miei piedi. Migliaia di ossa si erano sbriciolate assieme alla sabbia e calpestavo cadaveri liofilizzati. A parte quei tre, nessuno abitava lo stomaco del Ba'astardo. Arrivai davanti a un palazzo circolare, molto più grande di tutte le casupole che avevo superato. Mi fermai e accesi una sigaretta, sbuffai fumo giallo cercando con gli occhi un passaggio. Anzi, cercando con l'occhio.
Le montagne iniziavano ai piedi dell'arena, qualcuno l'aveva scavata nella roccia, o semplicemente era stata avvolta da essa. Poggiai una mano sulla parete e si sgretolò: un buco irregolare come una porta epilettica apparve. Dovetti chinarmi per entrare, un piccolo tunnel si apriva in un anfiteatro semidistrutto. Scesi e passai dal centro per attraversarlo, mi fece quasi piacere non sentire neanche il vento, lì dentro.
Non fosse stato per quel grattare che veniva dai lati, mi sarei fermato per qualche ora, in pausa da tutti i rincoglioniti incontrati finora. In pausa...
Mi incazzai di nuovo e ripresi il viaggio. Il grattare era più forte, il pavimento si muoveva, monticelli si formavano attorno a me. Gettai la sigaretta contro una di quelle protuberanze, un foro si aprì e la prese al volo, mordendo quasi. Bene, un'altra cosa ottima! Diedi un calcio al mangiamozziconi e non si sbriciolò, si spostò lentamente all'indietro. Ormai erano centinaia. Scattai verso le scalinate, evitando i morsi dei mezzi busti che spuntavano a ogni mia falcata. Salii e trovai un corridoio che seguiva il perimetro delle rovine. Corsi tossendo, si facevano sentire le sigarette e la polvere respirata fino ad ora. Le cose mi seguivano, voltando la testa mi accorsi che erano loro la causa di quel grattare. Si muovevano scavando con zampe appuntite, teste con corpi di scorpione. Una fissazione.
Di tornare indietro non se ne parlava, potevo solo correre. Davanti, altre collinette spuntavano nel corridoio. Cazzo, ora sono fottuto.
Sputando tutta l'aria finta che avevo in corpo notai un'apertura più avanti, una nicchia scavata nel lato destro. Ma dovevo raggiungerla, e i testorpioni mi avevano quasi raggiunto, i più piccoli davanti si erano formati completamente e... Stavano scappando? I più grandi seguivano me, io correvo e gli altri scappavano da tutti. Uno dei più piccoli aveva perso una zampa, lo superai e sentii che quelli dietro lo divoravano senza fermarsi, portandolo con loro, trasportandolo e facendo rimbalzare con colpi di mascelle e mandibole il resto che rimaneva di lui. Svoltai all'ultimo momento, infilandomi in quella sottile apertura, scorticandomi il braccio. Non usciva sangue. Anche io avevo sabbia in corpo, sabbia quasi liquida. I merdosi continuarono a seguire le merdine, solo uno dei più grossi mi vide e cercò con un artiglio di prendermi per trascinarmi fuori, ma venne travolto dagli altri e divorato anche lui, come capii dai rumori diversi dalla loro corsa.
Salvo. La nicchia continuava, stretta come il mio culo poco fa. Strisciando di profilo, uscii come un tappo dopo qualche metro. Mi aveva accolto una grotta verde e viola. Il verde, come al solito, veniva da una di quelle pozzanghere che tanto vanno di moda in questi giorni di merda. Il viola brillava da varie vene che striavano la pietra delle pareti. Che sia...? Ne sfiorai una con le dita, aveva la consistenza di una gelatina ricoperta da glassa. Mi venne istintivo stringerla in una mano e strapparla. Un fischio lontano... No, erano delle grida. Venivano dalla vena.
Avevo trovato le radici di Larish.
Ne morsi una e inghiottii. Pessimo sapore, sapore di gemiti e dolore. La sabbia che usciva dalla ferita al braccio divenne rosa.
Ba'al guardò Melrahsher:
- Non hai sentito niente?
- Sei vecchio, ti sta cedendo l'udito.
- No, era una specie di strappo.
- il tuo intestino, probabilmente.
- Torna a dormire, aspettiamo.
Ora dovevo trovare il piatto forte, un assaggio non mi sarebbe servito a niente. In alto, sul soffitto della grotta, un puntino giallo. Niente di semplice, qui...
Era stretta abbastanza da potermi arrampicare facendo leva su braccia e gambe. Ogni tanto mi sarei potuto riposare. Mi misi al centro e allargai le braccia, un piede su una parete e mi issai, cadendo immediatamente nella pozzanghera, che per fortuna non era profonda. Dovevo ancora recuperare le forze dalla corsa. Cercai di togliermi di dosso la melma verde con delle manate, e così facendo qualche goccia mi andò sulla ferita.
Un capogiro mi fece poggiare la schiena sulla parete. Sentii caldo, vidi fiammeggiare un corpo, un corpo femminile. Mi vide, cercò di toccarmi e con la mente allungai una mano. La mia mano era pietra. Mi sfiorò, dal nostro tocco caddero delle gocce. Gocce verdi. Ora si spiegava tutto: le pozzanghere erano il risultato del contatto tra i due spiriti.
Avevo un altro modo per far male a Ba'al, un altro metodo per fargli capire che aveva fatto incazzare il figlio di puttana sbagliato.
Riuscii ad afferrarle meglio la mano, e sperando mi riuscisse a sentire o vedesse almeno le mie labbra muoversi, urlai:
- Mangia, se vuoi uscire! Mangia Melrahsher!
Mi guardò come non capisse, poi sorrise e annuì.
Lasciandola, vidi che cercava di bere e beveva fuoco, le fiamme e la lava che beveva non si formavano più. Si dissolse piano.
Riaprii l'occhio e guardai il soffitto: stavo per uscire.