giovedì 9 febbraio 2017

Stati di depressione e whisky 13



Mi sedetti di nuovo con le mani tra i capelli. Volevo solo stare solo, era così difficile?
La cameriera tremava ancora, parlava concitata al cellulare, non la finiva di blaterare in una lingua che forse non avrei capito neanche se mi fossi interessato a quel che diceva. Cominciò a piangere e la guardai in faccia per la prima volta.
Non era così vecchia. Non era così giovane. Non era niente. I suoi lineamenti non erano definti, era come guardare con la coda dell'occhio qualcuno che passasse di fretta. La sua figura si allungò, il collo soprattutto. Ancora Modigliani. Si alzò e si avvicinò a me. Ripresi la bottiglia e guardai la vecchia non più vecchia negli occhi, cercando di fermare il suo volto col pensiero, di accorciarle il collo con l'istinto. Continuava a masticare la gomma. Bevvi un altro lungo sorso, sentii russare una bambina.
La cameriera allungò una mano verso il mio braccio e mi ritrassi, non avevo più voglia di spiegare che odiavo mi si toccasse, non avevo voglia di disidratare a morte nessuno.
Fece uno scatto incredibilmente veloce per un pupazzo umano e mi afferrò la spalla. Più che afferrarla la avvolse con una mano, senza premere. Sentivo che mi teneva e non mi lasciava andare, ma non c'era contatto, solo una lieve e fresca pressione. Cercai di allontanarmi, alzandomi e indietreggiando, cercando di togliere dal braccio quella cosa innaturale che premeva, grattando via con le dita della mano destra, quella che non teneva la bottiglia. Il suo braccio si allungava e diventava sottile, trasparente. Dei soffi di pelle di dilatarono sul suo viso come se sorridesse, un viso che perdeva colore e consistenza. Non diventò sabbia, non si solidificò o crollò in piccoli granelli. Avevo forse perso il mio tocco anti tocco? Mi sentii sollevare, la donna attraversò il bancone spostando l'aria che ora erano diventati i suoi piedi. Non toccava il suolo, non toccavamo il suolo.
Ba'al russava, Larish pure. Per una volta avevo bisogno di quei due e dormivano. Demoni del cazzo, al risveglio avrei trovato un modo per far loro una ramanzina. Corpo mio, regole mie.
Quella cosa mi trasportava in una sorta di tunnel d'aria portatile, mi spostò nel locale come fossi un palloncino e mi fece attraversare tutto il bar fino al retro, dove delle scale si nascondevano dietro una porta scura. La porta si aprì dolcemente verso l'interno, spinta dal nulla. Lei stava dietro di me e non diceva una parola, si sentiva solamente soffiare dolcemente. Tanto valeva stare al gioco, ci avrei pensato più tardi, al momento non potevo fare altro. Presi un'altra sigaretta e la accesi, lo zippo per fortuna resse quel vento spostagente. 
Aspirai, ed espirando vidi il fumo che si confondeva con i vortici invisibili su di me e sotto le mie zampe levitanti. Di nuovo un altro sorso di vodka. Larish ruttò nel sonno. In quel preciso istante il vento si fermò per un secondo, come avesse il singhiozzo, e sentii il vuoto. Ripresi subito a levitare, come se fosse passata dell'esitazione.
Mi ritrovai sul tetto del locale, alla luce di un sole pomeridiano ancora troppo lontano dal tramonto. Finite le scale continuammo a salire, la cosa non parlava, gli edifici si fecero più lontani e la temperatura si abbassò notevolmente. Incrociai le gambe come un maestro di kung-fu annoiato e attesi. Passarono ore, il sole non tramontava perché andavamo nella sua direzione, la vodka stava finendo e non avevo che poche sigarette. Speravo che all'arrivo ci fosse almeno un distributore automatico e una rivendita di alcolici. Sorvolammo il mare o un lago gigante, non ho idea di cosa fosse perché cominciai a perdere conoscenza, il sonno accumulato si fece sentire. Sentii un soffio più dolce, mi addormentai senza lasciare la bottiglia.
Accanto a me Mel stava affilando Duenna su una roccia e i suoi capelli non smettevano di muoversi, mi sentivo osservato e non ero tranquillo. Cercavo di parlare, ma dalla mia gola di pietra non usciva nessun suono, non sentivo neanche il raschiare della lama sulla pietra. Ecate abbaiava al cielo, abbaiava senza abbaiare. Larish starnutiva nella schiena, lo capivo dai colpi che spingevano le mie ossa in avanti. Non lo avevo mai visto, ma la terra me ne aveva parlato tante volte, quando gli alberi cadevano su di lei, quando si spostava senza essere toccata. Sentii la sua presenza su di noi, ci osservava senza parlare e senza farci parlare. Urlai e non si scompose. Gli feci cadere una montagna addosso e la attraversò tra le crepe. Non si mosse mai e si muoveva sempre. Si allargò in una linea sottile e una nuvola mostrò bianchi denti di vento prima di avvitarsi su se stessa e scomparire dividendosi nel cielo. Speravo mi lasciasse in pace e mi facesse tenere quel che mi spettava: che si tenesse il cielo.
- Sveglia! Jack! Sveglia! Fame! Dai, voglio giocare a mangiare! Dai, dai, dai, dai! Uffa, sei noioso! Jaaaack!
- Umano, alzati e rispondi a Ba'al!
- Ho ancora della vodka e mal di testa. Larish, non mi rompere i coglioni. Ba'alordo, posso trovare un altro modo per prenderti a calci in culo. Silenzio.
Si zittirono bofonchiando qualcosa. Era troppo facile essere coraggiosi se dormivo.
Mi massaggiai la testa, l'irritante voce di quei due faceva più male di tutto l'alcool che avevo in corpo, mai abbastanza per farli smettere. Aprii l'occhio e sentii subito aria fredda scorrere sulla congiuntiva intatta. Ero sulla cima di una montagna altissima, il freddo che sentivo stavolta era naturale. Mi guardai intorno e mi aggrappai subito a una roccia che sporgeva li accanto, le vertigini non erano ottime compagne di vita e da ubriaco era più facile gestirle. Ba'al si mise a ridere e smise immediatamente quando feci finta di portarmi alle labbra la bottiglia. Larish singhiozzò di spavento. Risi io stavolta.
Cercai di alzarmi piano, le gambe tremavano e la barista era scomparsa. Era giorno e il sole stava appena sorgendo: avevo viaggiato tutta la notte.
Appena fui in piedi le nuvole che circondavano la cima del monte rotearono e si disposero in forme geometriche distinte, formarono una sorta di costruzione che sembrava solida. La pressione che esercitata l'aria sui vapori nuvolosi o come cazzo si chiamavano quelle cose bianche, le rendeva più dure dell'acciaio.
Era un palazzo enorme, bianco e profondamente pacchiano, roba adatta a una bambina golosa di zucchero filato. Una porta davanti a me si spalancò e rimasi fermo. Ba'al tremava.
- Che demone cagasotto che sei.
- Tu non sai chi stiamo per incontrare.
- Uno che come voi rompe il cazzo di sicuro.
- Io ho fame però...
- Larish, se stai zitta ancora un po' te lo darò in pasto.
- Non sai cosa dici, umano! Larish, tu sai chi è!
- Ma se dico qualcosa non mi da pappa... Voglio giocare a mangiare!
- Mi stai più simpatica di corna gialle.
- Yuppi! Jack mi vuole bene, Jack mi vuole bene e a te no!
- Non ho detto questo. Zitta.
Sentii Ba'al abbassare la testa, la sua ex spada stringeva delle labbra immaginarie. Cominciai a camminare verso l'entrata.
Una rampa di scale bianca e larghissima saliva verso una cupola trasparente, al cui centro spuntava una sorta di trono vaporoso. Il proprietario era un egocentrico col pisello piccolo. Mi fermai a metà strada. Il trono si mosse e lo schienale si sollevò, come se fosse vivo e cercasse di guardare cosa stessi facendo. Ba'al trattenne il fiato. Mi voltai di profilo e mi avvicinai alla parete.
- No! No! Jack, umano, ti prego, no!
Abbassai la zip dei jeans.
- Smettila, ti prego!
Bucai la parete col getto di urina. Lo schienale del trono si scosse, si gonfiò e si ricompose immediatamente. 
Chiusi la zip e ricominciai ad avanzare, dopo pochi metri arrivai davanti a un trono vuoto. Accesi un'altra sigaretta.
La penultima.
Una voce asmatica e profonda percorse tutta la lunghezza delle pareti, il buco piscione si richiuse e le prime sillabe mi colpirono i timpani:
- Hai profanato il mio palazzo, mortale.
- Dov'è la barista? Ho bisogno di ghiaccio.
- La barista era una mia proiezione, ti teneva d'occhio.
- Quindi il ghiaccio me lo puoi dare tu?
- Sai chi sono io?
- So che ho imprigionato il cazzone della terra, che il fuoco si è spento e che le mie sigarette stanno finendo.
- Quindi sai che elemento sono.
- Sì. Sei i peti.
Il palazzo tremò, cercai di stare in equilibrio e bevvi l'ultimo sorso di vodka. Ormai non avevo più voglia di stressarmi, volevo davvero solamente stare a casa o in un bar. La bottiglia vuota mi guardò con tristezza, il palazzo smise di muoversi e ruttai. Guardai il trono, che si trasformò in una forma umanoide con i pantaloni a zampa d'elefante spumoso che fluttuava verso di me. Si immobilizzò sbuffando a qualche centimetro dalla mia faccia fumante di tabacco.
- Sono Anemos, l'aria.
- Sono Jack. Hai da bere?
Soffiò, la penultima sigaretta mi sfuggì dal labbro e cadde nel nulla. Larish tremò. Ba'al tremò. Io tremai. 
Tremai in una maniera diversa, i demoni dentro me non tremarono a causa dell'uomo peto, ma sentirono di nuovo la furia che li aveva imprigionati. Il mio pugno colpì solo aria, granelli di sabbia si sparsero nel vuoto come coriandoli che non avevo lanciato io. Larish aveva fame e ogni volta che sfioravo l'essenza di Pet-Anemos questa veniva risucchiata e trasformata in rena. Non aveva paura, poteva attingere energia da tutta l'aria dell'atmosfera. Dovevo trovare in fretta un modo per farlo cadere nell'oblio.
L'ossigeno era ormai un ricordo, già rarefatto a quell'altitudine. Lo spirito scorreggione pareva riuscire a manipolare anche la presenza del gas vitale attorno a me. Forse solo una cosa gli sfuggiva: non avevo più bisogno di aria: la terra che avevo in corpo poteva vivere senza.
Non mollavo ancora la bottiglia, la tenevo stretta senza sapere il perché. Lo spirito soffiava, riuscivo a schivare senza problemi le mani cubiche che mi venivano incontro. Le pareti del palazzo si facevano più vicine. In fretta, dovevo ragionare in fretta e trovare una strategia o sarei finito schiacciato, spappolato in aria a chissà quanti metri d'altezza.
Un attimo: l'aria non mi serviva. Non ne avevo in me e la sigaretta era finita. Cominciai ad aspirare forte. Senza pausa, con tutte le forze che avevo in corpo e nei miei polmoni stanchi. Un imbuto cominciò a formarsi verso le mie labbra, cercava di resistere alla pressione che riuscivo a esercitare, una pressione pesante come le montagne, più forte dell'acciaio i cui elementi risiedevano nelle profondità del terreno. Le mie guance si gonfiarono, non rimase niente di Anemos fuori da me. Il palazzo perse consistenza e mi sentii precipitare.
Lo sentivo scalciare, farsi strada per raggiungere il mio occhio bucato mentre precipitavo e acquistavo velocità. 
Avvicinai la bottiglia vuota alle labbra e soffiai dentro tutto quello che avevo aspirato. Tappai con il pollice l'imboccatura e sentii immediatamente qualcosa che pungeva la pelle: il bastardo cercava di uscire attraverso il mio dito. L'attrito dell'aria sulla pelle del viso mi riempiva di spine invisibili, il giubbotto sbatteva e faceva un chiasso tremendo sulla mia schiena e a un tratto ricordai:
- Larish, hai ancora fame?
- Se parlo no pappa...
- Ora puoi mangiare! Mangia Anemos!
- Larish mangiaaa!
La bottiglia diventò subito pesante, da vuota e trasparente che era diventò marroncina, granulosa, il vetro si dissolse con la stessa velocità della mia caduta. Larish non riuscì a trattenere un ruttino delicato, era come se la sentissi mettere una mano davanti alla bocca. Era sazia. Ba'al non riusciva a capire, intuivo la sua confusione. E stavo precipitando. Un chilometro circa e mi sarei schiantato al suolo, vedevo le case di un villaggio e stavo puntando dritto su un fienile.
- Umano senza rispetto!
Ba'al fece sentire la sua voce dopo tempo, una mano invisibile si mosse dentro me e seguì il fianco della montagna, grattandolo come fosse soffice neve. Una frana si abbattè velocemente accanto al villaggio, per fortuna senza distruggere niente di abitato o abitabile. Ba'al sapeva che mi sarei incazzato e qualcosa lo fermava dal disobbedire ai miei impulsi.
Colpii il terreno pendente con forza, molta meno di quella che pensavo avrei usato per colpire terra a quella velocità e rotolai fino ai piedi del villaggio.
Mi alzai lentamente, non c'era più fretta. Con qualche colpo di mano mi levai la polvere dagli abiti e mi diressi verso una capanna che aveva un'insegna di legno con il più esplicito dei disegni: un boccale di birra schiumoso.
Entrai, mentre gli abitanti erano ancora fuori a contemplare stupiti una valanga che avrebbe potuto ucciderli in un istante. Un uomo corpulento si affrettò ad andare dietro un alto tavolo che faceva da bancone, davanti a uno scaffale polveroso e tarlato che aveva come ospiti dei boccali e qualche bottiglia scura. Mi sedetti su un'alto sgabello e indicai una bottiglia color caramello e un boccale polveroso.
- Quello non posso farglielo usare, signore.
- Perché?
- Dice la leggenda che ci bevve un vecchio che non aveva un braccio e che sopravvisse a una battaglia da cui nessuno tornò. Si dice che abbia ucciso tutti.
- Nome?
- Si faceva chiamare Zephir.
- Era amico mio, dai qua e riempilo fino all'orlo.
Il ciccione capì che non era il caso di protestare oltre, sembrava sentire qualcosa. Forse davvero era ora di ammettere tutto, ero troppo stanco di questo ed ero sempre stato troppo vecchio per queste cazzate. Larish riposava e faceva le fusa, Ba'al era in attesa senza sapere il perché. La voce franosa mi vibrò nei timpani mentre il primo sorso scorreva bruciante in gola:
- E adesso?
- Dimmi chi manca.
- Sedna, il mare e le acque. Poi la luce, di cui non so il nome.
- Poi?
- Non lo so, conosco solo questi...
- Li faremo fuori tutti e finalmente potrò aver un po' di pace.
Feci un cenno all'oste, tirando fuori il pacchetto con l'ultima sigaretta e mostrandoglielo. Annuì e ne tirò fuori un altro da un cassetto del tavolo-bancone. Gli altri abitanti tornarono alle loro case e alcuni si sedettero ancora ai loro posti al bar, guardandomi curiosamente mentre chiedevo altri due pacchetti di paglie al proprietario e parlavo da solo con Ba'al.
Sorseggiai ancora, il ciccione mi guardò. Tirai fuori il portafoglio e con un sospiro gli regalai una banconota da cento. Non mi servivano più neanche i soldi.
- Umano, dimmi perché.
- Perché cosa?
- Perché mi hai dentro e nessuno mi può intrappolare, perché Mel è morta, perché Anemos è scomparso per Larish che non riuscirebbe a mangiare l'aria. Perché?
Accesi la sigaretta del pacchetto ormai vuoto e aspirai avidamente. Guardai le travi del soffitto, che prima o poi sarebbero diventate polvere assieme a tutto il resto.
- Il fuoco si spegne in fretta, caro testa di cazzo. Muore per primo. Segue l'aria. L'acqua verrà poi e la terra è molto più longeva, rimane quando tutto è andato via.
- Cosa vuoi dire?
- Gli spiriti che impersonano questi elementi sono più giovani degli elementi stessi, quindi non scompare la materia da cui sono nati. Puoi stare tranquillo.
- Umano, cosa diamine stai dicendo?
- Chiamami umano quanto vuoi, ma il mio nome è Jack Pendra e volevo solo ubriacarmi e farmi una ragazza dai capelli rossi.
Le idee di Ba'al vorticavano confuse e cercavano di scoprire qualcosa indagando nei miei pensieri.
- Ti sei mai chiesto perché sei riuscito a entrare dentro di me e perché hai perso i ricordi fino a che non sei uscito?
- No. Lo avevo scelto io.
- Anche tu hai l'arroganza dei bambini.
- Basta, umano! O Jack, come ti vuoi far chiamare! Ti ordino di spiegarmi!
- Ci sarò sempre, Ba'al.
Spensi la sigaretta sul bancone prima che l'oste mi avvicinasse un posacenere scheggiato in cui forse Zephir aveva svuotato la sua pipa credendo di esser troppo vecchio nella sua giovane età.
- Io sono il Tempo.