giovedì 16 giugno 2011

Mah... Ed anche un "boh?" non ci sta male.


Ho finito le idee.

Avrei giurato di averne ancora, ma il barattolo sul frigo, dove le tengo di solito, era vuoto.
Sarà la vecchiaia.
Ieri una ragazza incinta mi ha chiesto se volevo il suo posto in pullman. Ho risposto che non c'era bisogno, che di posti ne avevo pure a casa mia ma non li avevo portati in giro perché non mi piace vantarmi. Insomma, provo un po' di disagio quando mi si indica per strada e mi si dice:"Ehi, guardate quello! Si ruba il posto migliore!", quando invece il posto migliore l'ho lasciato a casa. Nascono certi fraintendimenti che mettono a dura prova la pazienza. Non la mia, la pazienza in generale. Un mio amico l'ha persa una volta e la sta ancora cercando.
Quando ero piccolo di idee ne avevo a bizzeffe: garages (si legge garascjscjscjs) pieni di idee, depositi di idee, catamarani di idee. Mi si accendeva una lampadina ogni dieci minuti. Poi è arrivata la bolletta dell'enel e ho preferito smettere.
Ora cambio discorso senza una ragione. Ieri notte c'era la luna rossa.
Ritorniamo alle idee. Non ne ho ancora. Se cambio l'accento posso dire "àncora", ma quella ce l'ho.
Si, vabbé, sto divagando come un divagatore professionista. Un divagatore domenicale non si sognerebbe mai di divagare così. Anche perché oggi è giovedì e non potrebbe essere un divagatore domenicale.
Che strana idea fare un articolo sulle idee che mancano. Che poi è sempre un'idea e l'articolo si annullerebbe da solo. Questo porterebbe ad un paradosso spazio-temporale, si potrebbe distruggere l'universo creando un buco nero, il centro di una ciambella galattica distruttiva. Siamo salvi solo se si tratta di una di quelle fantomatiche ciambelle che non escono col buco.
Siamo fregati se non è una ciambella, ma un anello di cipolla. Come quelli di Saturno. Tutti infatti sanno che Saturno è una polpetta spaziale circondata da anelli di cipolla.
Siamo sempre stati in pericolo: nello spazio tira una brutta aria, ed è l'odore degli anelli di Saturno.
Ok, ora che vi siete letti tutto il mio delirio mentale senza scopo, vi lascio con uno dei proverbi che hanno dato senso alla mia vita:

"Nelle botti piccole ci sta il vino poco."

Alla prossima, forse, vedo se trovo le idee di scorta.

Jack.

E si, il prosciutto non c'entra niente.

sabato 14 maggio 2011

Jack riflette: Esami di ordinaria follia.


Giorni fa parlavo con uno degli editori del giornale su
cui ogni tanto faccio una capatina come guest star. Non chiedetemi quale, perché non lo saprete mai. Diceva che secondo nuove disposizioni, metti legislative, metti per rispetto di varie credenze religiose, avrei dovuto evitare alcuni argomenti. Momento clou della conversazione: "Posso parlare delle moschee?" "No." "Parlerò delle zanzariere."
E così farò: le zanzariere spaccano.
Stavolta voglio analizzare i diversi comportamenti degli studenti universitari nei confronti della situazione più temuta, che anche se conosciuta e affrontata più volte, colpisce sempre allo stesso modo anche i veterani: l'esame.
Nell'attesa di esso si assiste ai più alti estremi raggiunti dalla mente umana: panico da una parte, freddezza dall'altra. Alcuni segnali si possono intuire dai bagni di facoltà: quasi totalmente occupati. Altri segnali sono invece udibili:
urla strazianti e pianti in antico occitano i più gettonati. Sarebbe normale se i pianti in occitano si sentissero nella facoltà di lettere classiche. Purtroppo anche biologi e ingegneri, non so come, riescono a piangere così. Tra pratiche autolesionistiche come ad esempio l'uso del cilicio, anche l'indifferenza al pericolo si fa notare. Questi sono gli studenti che aspettano, non aprono un libro per ripassare, non guardano nessuno e guardano tutti. Un'espressione di sufficienza e un sorriso di scherno come maschera li caratterizzano.
In realtà sono geni del male quanto le marmotte, impauriti quanto e più degli altri (il sudore glaciale sovente sulla loro nuca ne è la prova), che captano qualsiasi conversazione riguardo l'esame in questione nel raggio di 12 km quadrati. Piangono prima a casa per evitare si possa incrinare la loro reputazione di eterni tenebrosi e quasi infallibili intellettuali.
Onnipresenti gli esemplari chiamati “cosachiede” dal verso che emettono. Primi ad avventarsi famelici sul povero e stanco studente appena evaso dall'interrogatorio, riescono a risucchiare qualsiasi energia da esso solo tramite domande vocali e non (qualche volta basta lo sguardo), nonostante si siano già nutriti a spese malcapitato precedente. Ho saputo da fonti sicure che alcuni non sono neanche studenti e che non dovranno mai affrontare nessun esame. Semplicemente non riescono ad uscire dal tunnel dei “cosachiede”, catturati inesorabilmente dalla furia di questi esseri.
Quando studiavo all'università. l'esperienza mi ha insegnato a fare tutte le cose insieme: piango in occitano dal bagno e fustigandomi urlo “cosachiede”, facendomi sentire nel raggio di 12 km quadrati.
Funziona, ho risparmiato una marea di tempo.
Poi mi son ritirato, ma questi sono stracazzi miei.

Jack.

sabato 5 marzo 2011

Peti Cerebrali. Cap III


Intanto, nel contado, Lucilla, un’ allegra villica di due metri e venti stava cucinando beata la cena per se e il suo servo, una zuppa di patate. All’ improvviso si voltò e disse con voce melodiosa:
“Mannaggia … è finito il rosmarino …”, si voltò verso la cantina e disse:
“Merilìn, vini qua e coglimene nu poco…” Indi si voltò tranquillamente di nuovo verso i fornelli per mettere nell’ acqua il furetto da bollire. (..ma che razza di gente conosci?? O.o …Ecco, anche qua ci voleva il wwf u.u) (Guarda che io pensavo che fossero amici tuoi -.- gente che mette il furetto nella zuppa di patate io non ne conosco) Meno di dieci secondi dopo dalla cantina arrivò un urlo disumano e apparve uno strano essere dagli occhi diseguali con in mano un rametto di rosmarino.
“Was this the thing you wanted, you shitty womannn??” vomitò, brandendo il rametto di rosmarino come fosse una scimitarra. Lei sorrise (rivelando il suo rapporto conflittuale con il maniscalco, dentista dell’ epoca: aveva undici denti in bocca, di cui cinque cariati, tre marci, due storti e uno ricostruito, il miracolo dell’ epoca) e poi disse, dolce come un chilo di zucchero (sbiancato chimicamente, non di canna, che quello dolcifica ben poco):

mercoledì 26 gennaio 2011

Peti Cerebrali. Capitolo II



Mentre Lancillotto volava verso nuovi orizzonti, in un villaggio al limitare del bosco (un po' come quello dei puffi) si stava organizzando un festa di compleanno (qualsiasi riferimento a fatti o personaggi di altre storie tipo il signore degli anelli è puramente casuale, eh…se dite qualcosa vi mando Marilyn Manson a casa e vediamo chi ha ragione poi. [noooooooooooooo(basta)oooooooooooooooooooooo(spostati)ooooooo
!!!!!!!!…]
Wasp... spedisci Bill Kaulitz… ehehehehe [risata malvagia... tokio hotel crepate… muaaaaaa (devo scrivere) aaaaaaaaaaaaa!!!] oppure spedisci il frate che non si lava da una vita (si, ok ma nn è una storia incentrata su questi due loschi figuri? Poi li facciamo mangiare dal drago sei ti fa contenta ok?) …Secondo me fa più paura… o schifo? (deciderò quando qualcuno mi accuserà. Levati mo) Viva MaRiLyN MaNsOn!!!yeah!!! I don’t like the drugs (but the drugs like me!!!) Yeahhhh!!!! Si, si nota. Sciò… ah finalmente.
(vai alle note a piè di pagina... sì, esatto, ci sono anche le note a piè di pagina! seri siamo!)
Va bé, stavo dicendo… si stava organizzando questa festa di compleanno, ma non era una festa qualsiasi, era la festa della figlia del re!

domenica 23 gennaio 2011

Peti Cerebrali. Wasp starts.

Diamo il benvenuto come new entry a Wasp, la terza blogger del trio di tre. Non ci avevate pensato prima, ma trio vuol dire che ci sono tre persone. Questa è la nuova blogger. Trattatela bene o vi sdrumo i denti sul marciapiede e ci piscio sopra. Ai denti, non al marciapiede, non sono un maleducato.
Jack in trasferta.


Avvertenze: prima di leggere il seguente scritto, bisogna avvertire i fruitori che appunto si apprestano alla lettura del seguente, che si tratta di pure, semplici e innocenti cazzate. Buona Lettura! (sempre se ci saranno fruitori del seguente scritto, ovviamente.)

Capitolo I
Questa storia ha inizio un martedì sera qualsiasi, di una settimana qualsiasi, di un mese qualsiasi dell’ anno scorso. (hehehe…che vi credevate.)
Era estate. Soffiava lo scirocco, la visibilità era ottima e il mare calmo. Il cielo pareva un drappo di velluto nero spruzzato di luci dorate, e da un bosco fitto come quello delle fate giungevano all’ orecchio e alla vista un filo di fumo e l’ allegro scoppiettio di un fuoco.
(….. Avviciniamoci per scoprire chi è il bravo genio che ha deciso di accendere un fuoco nel folto della foresta, incurante del depliant dei vigili del fuoco e degli avvertimenti del capo della protezione civile.)
Ci inoltriamo fra le fronde, schiviamo rami bassi, insetti e fatine e… cogliamo alle spalle un aitante giovinetto seduto vicino ad un potenziale incendio doloso, in compagnia dei suoi fidi compagni di viaggio: un pollo e una cavalla. Ma ora mimetizziamoci con l’ ambiente circostante e vediamo un pò di farci gli affari suoi. E se rimane tempo, ci facciamo una rapida panoramica generale della zona.
“E’ una buona serata per la caccia”,
mormorava fra se e se, lanciandosi intorno di tanto in tanto degli sguardi furtivi, come se temesse l’ attacco

martedì 4 gennaio 2011

Ordinaria amministrazione & vaneggi al riguardo.



Ho perso una tessera.
Ok, può capitare a tutti, questo è normale.Di solito una tessera si perde per tre validi motivi:
1) non ti ama più e se ne va;
2) non la ami più tu e lei se ne accorge, andandosene;
3) era biodegradabile e l'hai mangiata a pranzo con la salsa barbeque credendola un cracker, mentre se ne stava andando a causa di uno dei due motivi sopra riportati.
E' davvero strano quanto una semplice tessera possa essere importante soprattutto quando non
la si è mai usata. Voglio dire, ce l'hai nel portafoglio tranquilla tranquilla e sonnacchiosa, e sei per caso in giro, quando ti imbatti in un parcheggio. Ti serve la tessera per entrare, ma non quella. Apri il portafoglio, lei ti guarda speranzosa di perdere la sua verginità magnetica ma niente, non tocca a lei e ne prendi una a caso dalle 236 che normalmente tieni per ogni evenienza.
In questo parcheggio si sta svolgendo del tutto casualmente una festa di quartiere, tra bancarelle e stands. Ecco, questi stands sono esattamente 234. Tutti i club, locali e sale bingo in cui sei entrato, o di cui hai solamente sentito parlare da uno che ha detto una volta per caso che forse un cugino di un suo amico molto probabilmente aveva sentito il nome del posto da una combriccola di amici tedeschi ubriachi di passaggio e quindi forse non era neanche quello il nome, hanno uno stand. E hai bisogno della tessera per ognuno. Ma non hai bisogno di quella tessera.
Poi, due sbronze dopo (che poi sarebbero 36 ore dopo), quando bel bello sei al supermercato, ti chiedono quel rettangolino plastificato che non hai mai usato. Ed è strano che te lo chiedano, perché in quel supermercato c'è ancora la cassiera che ricorda i prezzi a memoria ed il lettore del codice a barre elettronico è considerato figlio primogenito del diavolo e godzilla, nato in un plenilunio di sangue il 6 giugno di un anno a caso che finisca con il numero 6.
Non ce l'hai. Cerchi in ogni anfratto del portafoglio, ti fai largo tra i pipistrelli, sostituisci l'idolo sacro con un sacchetto di sabbia e vieni rincorso da una palla di pietra gigante, tutto sudato esci e niente. Nel portafoglio non c'è.
Solo un biglietto: "sono scappata col codice fiscale. addio."
Ti fai prestare la tessera da uno a caso, che diversamente da te ce l'ha usata e strausata tanto che prima di scansionarla bisogna fare il calco col gesso, ed esci un po' triste perché non te l'aspettavi. E hai anche dovuto pagare il gesso per il calco.
E qui arriva la seconda parte dell'avventura: recuperare o sostituire il suddetto documento. Come trovare l'ufficio addetto a questi affari? Molto semplice: trovi un bastone di circa due metri, ti rechi al centro della piazza più grande del paese o città in cui vivi, monti la tua carta d'identità in cima al legno, fissi il tutto nel buco di un tombino e aspetti mezzogiorno. A quel punto un raggio di sole si rifletterà sul numero della carta e ti indicherà un pensionato seduto vicino alla fontana. Chiedi a lui, che lo sa.
Raggiunto il posto ti accorgi che sono presenti le categorie di persone che non hai assolutamente voglia di vedere normalmente, figurati in una fila di 47 persone: vecchietti e bambini. I primi pizzicano con mosse degne di un settimo dan di kung fu le guance dei secondi, che con capacità liriche mai immaginate si lamentano in loop. E in stereo. Partono ora le frasi sentite, risentite e che si sentiranno sempre:
- Chi è l'ultimo?-
- Lei, signora.-
Oppure:
- Sono dentro da tanto? -
- Ma se l'impiegato è lei?-
- Ah, già! -
Siete tutti in attesa in un lungo corridoio, tre fusi orari separano il tuo posto dalla porta in cui devi entrare. In quell'ufficio lavorano solo la mattina, chiudono i battenti alle undici e mezza, apertura sportelli undici e venticinque. Servono una persona ogni due settimane. Dopo finalmente quattro anni è il tuo turno. Hai il numero 9. Intanto alcune vecchiette sono state portate via dagli egittologi, molti bambini si sono sposati e hanno avuto figli, li hai visti crescere e ti ci sei affezionato un po', fino a che non ti sei reso conto che i bambini che si sono sposati ora sono altri vecchietti che con mosse degne di un settimo dan di kung fu pizzicano le guance ai bambini che con capacità liriche mai immaginate si lamentano in loop. E in stereo. E le stesse frasi si ripetono.
Ti accoglie dietro una porta bianca un essere simile a Gandalf il bianco, ma senza barba, solo con i baffi e i capelli... beh, i capelli... solo con i baffi. Esso è l'addetto al tuo problema.
La stanza è al di fuori dal tempo, due ichtyosauri giocano in un acquario e senti vagamente un odore di felce. Scopri così che la colpa della durata dell'attesa non è di chi entra, ma proprio dell'ambiente, perché ci sono stato cinque minuti, ma all'uscita le generazioni nel corridoio erano andate avanti almeno di trenta. Cinque minuti per dire:
- Ho smarrito la mia tessera.-
- Ha sbagliato ufficio, deve andare all'altra porta. -
Dopo anni in attesa hai maturato una pazienza che ti fa pensare al dalai lama come ad un guerrafondaio, quindi non ci dai tanto peso quando esci procurando un po' di cibo dalla selvaggina cacciata nelle piante sulla scrivania dell'impiegato, per affrontare un'altra fila probabilmente composta da evoluzioni umane di millenni.
Con una mano sulla spalla ti si blocca prima di uscire:
- Aspetti.-
- Che c'è?-
- Per entrare di là ha bisogno della tessera.-

E poi mi chiedono perché bevo.
Jack.