lunedì 14 luglio 2014

Stati di depressione e whisky. 10

- Cosa?-
Avevo intuito che in questo posto si sarebbe potuti andare fuori di testa, ma non avrei mai pensato così tanto.
- Hai detto che non provate rabbia, ma eri incazzato.-
- Imitavo te.-
- Dove mi hai sentito?-
Keshkesé andava freneticamente in giro attorno alla casa-collina, cercando non so cosa, fermandosi e scavando buche con le sue zampe umane. Zephir mi fece segno di seguirlo alla grotta verde. Salimmo insieme un lieve pendio e arrivammo a casa sua, o quello che era. La luce verde proveniva da due pozze di melma che ribolliva densa e puzzolente. L'odore era simile a quel marcio che avevo sentito appena uscito da dov'ero arrivato.
In mezzo alle pozze una stretta panca con una roccia su un lato. Poteva essere un letto pietrificato, o una bara di terra senza coperchio. Il barbabianca si sedette e mi mostrò un masso davanti a una pozza. Anche i pouf sono di pietra e sabbia qui. Ci abiterei in un monolocale del genere: pieno centro deserto, luce verde puzzolente e ribollente, letti e cuscini di pietra, equo canone. Meglio del mio “appartamento”.
Il vecchio chiuse le palpebre, il “tatatatata” di Kesh in sottofondo, e subito chiesi:
- Come mai questa fissazione di mangiare ogni essere vivente e demoniaco vi si pari davanti?-
- ? l'unico modo.-
- Quindi vi uccidete a morsi. Ottimo. Hai da bere? E devo fumare.-
Appena finii la frase, Kesh corse immediatamente verso di me e mi porse sigarette e accendino, che non avevo raccolto. Sollevai un sopracciglio verso di lui e presi tutto. Accendendo una sigaretta, il granchietto fuggì da qualche parte e Zephir riprese il discorso:
- Non ho detto di ucciderli, non si può.-
- Interessante. Hai da bere?-
- Non beviamo o mangiamo qui. Non noi. Solo una.-
- Uno spasso!'Solo una' che cosa?-
Si alzò senza rispondere, prese da terra qualcosa che somigliava a una ciotola che stava attaccata al suolo. Era l'arredamento più spartano e pratico che potessi immaginare. Ti serve qualcosa? Staccala da terra. Kesh si fermò a qualche metro da noi e non so come, si sedette piegando le bracciazampe come se fosse stato un ragno. Ci osservava e aspettava qualcosa. Zephir si avvicinò a una delle pozze e riempì la ciotola colmandola, immergendo il braccio buono fino al gomito.
Mi porse la brodaglia.
- Bevi.-
- Non dovresti prima invitarmi a cena fuori?-
Continuò a guardarmi senza espressione, la ciotola in mano.
- Ok, ma qualche salatino si poteva rimediare.-
Afferrai il gustoso drink e lo annusai. Sapeva di sigaro spento in un vino scadente.
- Tutto.-
- Solo perché è gratis.-
Poggiai le labbra sul bordo e buttai con forza quella roba a terra, distruggendo il contenitore. Era bollente, e anche se non faceva male mi aveva fatto incazzare il comportamento di quel barboso sottuttoio taciturno. Mi alzai di scatto, ma non sapevo cosa fare. Rimasi in piedi e lo fissai, mentre fulmineo si toglieva quello straccio che gli faceva da mantello e me lo faceva vorticare attorno al collo. Stretto in quella presa sentii la pressione di una forza che un tempo era crudele, smussata dalla pietà nel corso del tempo. Perché lo sentivo? Mi fece cadere con la faccia a qualche centimetro dalla pozzanghera fumante di fango diluito, tirò e trascinò senza sforzo la mia carcassa frenetica nel cercare di togliere quella sciarpa troppo ermetica. Sollevò e lasciò la presa, ma ormai ero dentro il verde puzzolente. Tolse con un gesto la catena di pelle e mi vide annaspare e sputare. Puro istinto, non avevo paura e sapevo di non poter morire perché ero già morto due volte. Ogni volta muoio e credo di morire. Ogni volta mi risveglio e aspetto di morire. Il verde e la sabbia mi coprirono la vista monoscopica e annegai. Intanto che cadevo, mi chiesi dove diavolo Kesh avesse trovato le sigarette.
Aprii gli occhi. Era il tramonto. Niente sabbia, niente ocra. Ero la sabbia, ero la terra, ero le rocce e le montagne. Dovevo uscire, trovare il modo di andare. Per troppi secoli sono stato chiuso qui a essere calpestato, bagnato e scavato.
Solo perché voglio un mio posto e un ruolo, una ragione d'essere. Chiuso col fuoco e la terra dalle Ombre, dal Cielo, dall'Aria e dai giovani animali loro servi. Perché loro possono essere e io no? C'ero prima di loro, prima di tutto! Mi rivedranno e li farò cadere.
Cos'è questo suono, questa vibrazione? Sono piedi, sono urla, è dolore e furia. Devo averla. Provo a muovermi, a scuotermi. Ho preso qualcosa! Si muove, si muove forte ed è incastrato. Lo assorbo e riesco a muovere per prendere. Questo è mio, tutto.
Lo inghiotto. Divento carne e ossa, riesco a camminare. Ho la barba e le gambe, ho distrutto solo un braccio. Davanti a me corpi distesi e rossi, la spada che brandivo riposa nel petto di un cadavere. Chi era è dentro me e ho i suoi pensieri. Zephir? Hai soldi ora, Zephir? Sei riuscito a farti pagare per uccidere e soddisfare la tua sete di sangue? Sei contento di aver raffreddato la tua spada nel sangue? Sono te e non sono te, mi hai dato il tuo corpo e ho scoperto come uscire. Mi volto e delle urla di agonia mi fanno sorridere: anche lo spirito mio compagno ha trovato il modo. Ha preso interamente un corpo, non avrà la menomazione di un braccio scorticato da una frana. Mentre quella donna prende fuoco, il fuoco prende forma.
Ci guardiamo. Lei è pronta, io no. Devo avere altre cose che non ho. Riesco ancora a muovermi come terra e non parlo. Davanti a me intuisco la presenza dell'ingordigia e della pazzia. Cadono le rocce, cade l'ultima cosa che posso controllare fuori di me. Ho preso una donna enorme che non smette di mangiare, un ragazzino che parla da solo. Sono dentro me e li terrò fino a che non troverò di meglio, fino a che non li eliminerò. Dentro me avranno tutto, compresa la città che ho ingoiato prima di essere esiliato dalle future vittime della mia rabbia, ora presente e di cui sono stato privato. Melrahsher mi sorride. Avanzo ed estraggo la spada, nella quale infondo un po' di me. Perde volume, rimane tagliente e prende ogni cosa da quel corpo in cui giaceva. Ora è mia e sono io, deve stare in me e non si separerà dalla mia pelle, condividerà le sue prede e le darò le mie. Come l'esercito che mi servirà è formata da me. Lei è Larish.
Io sono Ba'al.
Sento scorrere la linfa di Larish, la mia ricambia quella sorta di bollente simbiosi. Con i piedi sul suolo niente mi sfugge se si muove, e molto si muove non lontano da qui. C'è chi ha sentito la nostra uscita, c'è chi si muove per incatenarmi ancora e io non voglio. Conficco Larish sull'arido terreno intriso di rosso, la lascio andare con un po' di me addosso, le sue urla svegliano i resti umani che ora mi appartengono. Non avranno suono se non il mio, non avranno volontà se non quella che riceveranno da me. Andiamo, perché l'Ombra arriva alla luce del sole con un altro esercito senza propria volontà. Andiamo perché Kruor non mi incatenerà di nuovo, andiamo perché i suoi complici non sopravviveranno. Adesso sei il primo, non ho fretta per gli altri. Larish, vieni con me. Melrahsher, mordi e brucia.
Aspettiamo che compaiano, in silenzio corriamo appena ci scorgono. Siamo davanti a loro. Davanti a Kruor, Ombra materiale. Forte Larish segue il mio braccio, con violenza trova solo vento. Il codardo si è abbassato, non combatte e scappa con il resto dei suoi tirapiedi. I caduti diventano tutti miei. Scappa terrorizzato, scappa ai confini della luce, dove le ombre si riparano. La terra ingoia le carcasse semivive che mi hanno servito. Possono andare, ma in me mi nutriranno e saranno sabbia. Cominciamo a camminare, cammineremo per tanto tempo, fino a che qualcuno non sarà degno di ospitarmi nel suo fragile essere mortale.

sabato 1 febbraio 2014

Stati di depressione e whisky in sclero numero 9.

Allargai le braccia per capire dove fossi. Non vedendo nient'altro che polvere gialla, avrei dovuto affidare tutto a tatto e udito. Nessun suono, un silenzio che assordava. Fanculo l'udito, solo il tatto. Un ultimo controllo per sentire se non avessi dimenticato niente da attaccarmi addosso e ripensai ai vecchi cartoni animati giapponesi, sentendomi un robot componibile. Mi sarebbe piaciuto un sacco avere un'arma di quel tipo addosso. Che so, magari un pene fiammeggiante o chissà che. Attenti, arriva Jack col suo cazzo spaziale roteante! I nemici sarebbero stati fottuti letteralmente.
Feci qualche passo a tentoni, mi sembrava di dover imparare a camminare di nuovo. Il palmo destro sfiorò qualcosa che si sgretolava e mi avvicinai a quella che somigliava a una parete. Con tutt'e due le mani tastai quel fragile muro e cercai di seguirlo un po', camminando lateralmente, attaccato per non farmelo scappare. Sentii una sorta di rientranza, un pezzo mancante troppo regolare per una superficie così incasinata. E vediamo cosa c'è dentro. Infilai prima la mano, poi il braccio. Era poco più largo del mio arto sinistro e sfioravo qualcosa di mobile, brulicante... Graffiai un po' e schiacciai roba croccante e umida, dei biscotti vivi. Bleah. Allungai ancora stendendo la spalla e trovai tre fessure, di cui mi accorsi solo dopo averci infilato le dita e averle sentite mordere da qualcosa che non mi lasciava e mordeva più forte. Un click leggero e ritirai il braccio di scatto. Non potevo guardare le dita, ma pulsavano sui polpastrelli. Scossi la mano e la sensazione sparì immediatamente.
Continuai a tastare il muro e un soffio mi colpì il viso. Continuai a seguirlo. Dopo un minuto il giallo dell'aria si fece più chiaro e luminoso, quel tipo di luce che si vede quando è nuvoloso e le nuvole si fondono con l'asfalto. Piano piano i confini delle cose si fecero quasi nitidi, c'era un'apertura più avanti e potei staccare le mani dal muro.
Un altro passo e uscii all'aria aperta. Aperta... Insomma.
Ora vedevo di nuovo, ma sempre quel cazzo di ocra in tutto. Sembrava un deserto enorme in una stanza. Qualche edificio di sabbia, lontano delle colline e attorno, chilometri e chilometri lontano, degli anelli enormi e sfocati per la distanza, che si chiudevano come se si guardasse un anfiteatro dal basso. Non so chi avesse creato questo posto, ma come arredatore faceva schifo. Chiusi l'occhio e respirai a fondo puzza di terra arida e marcia insieme. Mi si stapparono le orecchie e l'udito tornò per sentire un vento costante e sommessamente ululante. Feci qualche passo ancora e notai che le pareti dell'anfiteatro non cambiavano di prospettiva: troppo lontane. Solo, meno sfocato, qualcosa davanti a me, una giuntura tra gli anelli enormi. Viola scuro, una colonna gigantesca che li teneva uniti. Anzi, che li penetrava in un punto preciso.
Ora, che cazzo di agenzia di viaggi usava Ba'al? Gliel'avrei chiesto dopo averlo riempito di calci in culo. Nessuno mi può mangiare!
Prima domanda: dov'ero finito? La logica, ammesso che ce ne fosse stata una, suggeriva che fossi finito dentro la statua mangiapersone rottainculo facciadimerda. Mentre riflettevo e camminavo, uno scalpiccio attirò la mia attenzione. Mi fermai e guardai attorno: un punto ondeggiante si avvicinava. Presi una pietra come arma e la tenni dietro la schiena. E ora chi cavolo era? Se non potevo star solo neanche per i cazzi miei... Veloce come un ghepardo che scorreggiava proiettili di tabasco, una figura rossa si avvicinava a me trascinando polvere e terra coi suoi... Piedi? Appena riuscii a capire cosa fosse, vidi un tronco umano senza braccia, poggiato su cinque cose che sembravano gambe divaricate, ma che poi scoprii essere tre gambe e due braccia. Piedi e mani toccavano per terra, venivano usati come zampette frenetiche. Non aveva pelle se non in testa, per questo era rosso. Si fermò quasi istantaneamente a un metro da me, mi guardò inclinando il capo, sulla cui cima aveva attaccato un orecchio. Che schifo. Mosse un braccio-gamba e provò, in silenzio, a toccarmi avvicinandosi lentamente. Tirai fuori la pietra e feci per tirargliela addosso:
- Non ti avvicinare, granchio scotto!-
Bloccò la protesi e continuò a scrutarmi. Una voce esitante, roca e acuta:
- Tu... Io Keshkesé.- Si colpì il petto con un piede.
- Non capisco il granchioscottese.-
- Mi name, Keshkesé. Arriva tu del poco stai qui.-
- Aspetta. Tu ti chiami Keshke...-
- Sé.- Annuì con forza.
Abbassai la pietra, ma non la lasciai. Non sembrava cattivo, ma il mio istinto mi aveva procurato troppi guai per seguirlo ciecamente. Anzi, orbamente.
- Ora che so il tuo nome, posso continuare a non interessarmene. Addio.- Girai i talloni.
- No! Sta tu! Jekepenra nosce!-
Sollevai il sopracciglio sull'occhio sano e mi girai. A quanto pare nell'universo ero l'unico che non si conosceva:
- Ho capito solo “no”- Mentii.
- Sa Jekepenra capissa Keshkesé. Vuoi chiede e nosce?-
- Perché sai chi sono?-
- Vento de muri lontane parla voce da te, capta di elo. No spaventera perme? -
- Senti, già sto facendo una fatica immensa per capire che cazzo stai dicendo: ho l'impressione di ascoltare radioscarabeo. Cos'è che i muri parlano di me?-
- No spaventera perme?-
- Mi fai schifo, ma ho visto e sentito peggio sulla pelle.-
- No spaventera perme? No, già chiestato. Na, muri dice con voce tua! Ecco, dice tua! Primissima parla con mina!-
- Eh?-
- Anni passa, ultimo Jekepenra qui. Moltanti sono ante Jekepenra.-
- Va bene, sono l'ultimo arrivato. Molto poco interessante. Ciao-
- Kesh comte.-
- Senti, non mi sopporto neanche da solo.-
Buttai la pietra e andai avanti, passando accanto al picasso umano. Mi cercò di afferrare un braccio e lo fermò come se si fosse ricordato qualcosa di importante. Camminava veloce intorno a me, guardandomi e seguendomi col “tatatatata” dei suoi passi. Passarono almeno venti minuti di “tatatatata” mentre avanzavo. Non sapevo dove, ma dovevo muovermi e andare.
- Hai una sigaretta? Anche una da granchio può andare.-
Si eresse come un suricato e scattò di lato, correndo come prima. Mi guardai intorno e non vidi niente che potesse essere un pericolo. Sparì dalla mia vista per un secondo o due e ancora di nuovo un polverone verso di me. Tornò, si fermò frenando con le mani piedate e mi porse un pacchetto di lucky strike e uno zippo con un piede. Ma che diavolo...
- Conserva quando tu venuto!-
- Su, parla.- Accesi una sigaretta. Mi tastai per trovare una tasca, e purtroppo avevo solo una larga fascia a coprirmi i fianchi. Ma cos'era? Cuoio leggero forse.
- Piace pella?-
- Aspetta... Cosa?-
- Piace pella? Messa grotta che tu veda e toglie-
Mi cadde la sigaretta dallo stupore:
- Quindi per mutande ho...-
- Mina schiena.-
Che schifo bis. Ok, è a posto. Si è privato della sua pelle per me. Ma perché?
- Aspettaviamo Jekepenra! -
- Perché?-
- Frega e incazza Ba'al molte volta, noi accetta. Tuno.-
- Ha mangiato anche te, dunque.-
- Kesh e Zephi e Qrateeah che fa spù e Kruor che prende gamba di elo e Argo che squaglia e no più ma dolore sentiamo e Jekepenra che arrabbia. Uno che solo come è tranne occhio perduto.-
- Fai una pausa che non capisco una sega!-
- Ba'al mangia Zephi prima e Qrateeah e Keshkesé e Kruor e Argo e tu.-
- Ha il vizio, allora. Tu da quanto sei qui?-
- Non dica certo certo certo certo, tempo funziava niente qua, niente nero scande giorno. Mooooltissimo che vede perterra cambia come guarda.-
- Ah. Qualcuno parla decentemente qui?-
- Zephi parla poco, dica si no e poco. No Qrateeah, molte e bugie. Anda Zephi?-
- Decisamente.-
Indicò una collina alla mia destra, si e no mezz'ora di “tatatatata”. Avevo acceso un'altra sigaretta, tenevo il pacchetto in mano, nonostante Keshkesé si fosse offerto di tenere tutto per me. Dopo un po' arrivammo a una collina che collina non sembrava. Era troppo levigata. Dovetti girarle attorno per scoprire una grotta illuminata di verde pallido e segni di pietre incastonate una sull'altra. Era una casa, costruita alla bell'e meglio. Su una sporgenza sedeva un uomo con la testa china, barba lunga bianca e capelli cortissimi e neri come la pece. Anche lui aveva della pelle come abito che copriva maggior parte del suo lato sinistro. Era muscoloso ma non enorme, sembrava che pensasse intensamente. Keshkesé urlò il nome che mi aveva detto gli appartenesse. Un sospiro profondo e sempre più forte rispose furioso:
- Sono Zephir!-
Si alzò e fece un salto verso noi due. Atterrò in piedi e mi guardò a una spanna di distanza, era alto quanto me e vecchio come una tartaruga. Mi colpì senza forza lo stomaco e mi scaraventò a qualche metro di distanza, piegandomi in due. Rotolai e mi fermai strisciando sulle mani. Perché tutti mi colpivano o mi facevano schifo? Mi rialzai, qualche manata per scuotermi via la polvere di dosso e con ancora le sigarette in mano, corsi a testa bassa verso di lui. Avrei trovato magari una valanga di botte, ma non mi deve toccare nessuno!
Si spostò all'ultimo momento, poggiai il piede destro davanti a me per fermarmi e tirai sempre col braccio destro un gancio che lo colpì sulla spalla. Mi caddero le sigarette e lo zippo dall'altra mano. Non si mosse, il pugno era fermo sulla sua spalla e gli cadde la pelle che lo copriva. Tutto il corpo era normale, il braccio sinistro era senza pelle e carne, solo ossa inermi:
- Ti sei fatto male?- Chiese senza scomporsi, calmo.
- No.-
- Neanche col pugno di prima?-
- No... Ma mi hai toccato e mi fa incazzare.-
- Io no ferma lui prima con mano e ricorda no tocca Jekepenra!-
Ecco perché non mi aveva fermato Keshkesé, quando l'avevo incontrato... Ma come lo sapevano?
- Neanche noi sentiamo dolore. Neanche rabbia. Tu si.-
- E...?-
- E ora devi mangiare.-
- Non ho fame.-
- Devi mangiare Ba'al.

Jack