mercoledì 24 agosto 2016

Stati di depressione e whisky.12.


Mi alzai lentamente, un sorriso sadico mi si allargava sulla faccia. Distesi le braccia e scrocchiai collo e dita, il viola delle vene sulla parete pulsava. Cominciai a mordere con calma, cercando di abituarmi al sapore di quello schifo di morte putrefatta. Ogni pezzo che staccavo con i denti si scioglieva nella mia bocca e veniva assorbito, la sabbia rosa che usciva dalla ferita al braccio diventò liquida di nuovo e cominciai a guarire. La mia pelle pulsava con le vene viola che diminuivano di volume e si essiccavano ogni volta che mordevo. Ora più forte, più veloce. La luce della caverna si affievoliva e il buio prendeva il suo posto, un buio rosso che mi copriva l'occhio. Tutto cominciò ad agitarsi come fossi stato all'interno di un uovo e qualcuno cercasse di farci una frittata senza romperlo. Mi tenevo stringendo ancora con i denti, venivo sbalzato dappertutto e non mollavo la presa. Mi aggrappai a qualche roccia come una cozza e continuai a mordere. Staccavo gelatina, terra, sassi. Ogni volta che inghiottivo mi sentivo più feroce, più pesante, più forte. La grotta si agitava e si contraeva con più frenesia: Ba'al si era accorto di cosa stesse succedendo e non poteva reagire. Le zampe dei testorpioni scavavano ora l'apertura della nicchia, i grandi e i piccoli si erano messi d'accordo per raggiungermi. Mangiai così tanta parete da non capire da quanto tempo lo stessi facendo. La testa di una di quelle creature, che probabilmente erano il sistema di difesa interno del demone ormai prossimo ai calci in culo, cercò di farsi largo nella fessura, ormai già grande abbastanza per farla entrare.
Un piccolo buco apparve con l'ultimo morso che diedi prima che mi raggiungesse uno dei testorpioni più grandi, a cui assestai un calcio sul torace. Si frantumò e gli altri si fermarono. Si fermò tutto. Cominciai a sentire le voci che provenivano dall'esterno. Risi forte di vendetta e la stanza tremò. Sentii urla rabbiose simili a una frana, urla impaurite che scoppiettavano, guaiti e ululati. Ricominciai a mangiare la parete e le vene, ormai quasi spente. Allargai l'apertura, ancora troppo piccola per le spalle e la testa, abbastanza per far uscire un braccio. Qualcosa mi morse, qualcosa di bollente che mi fece sciogliere la mano. Guardai il moncherino fuso senza pensarci troppo. Curiosamente, si stava formando di nuovo con granelli di sabbia rossa che si arrampicavano su se stessi per formare immediatamente una nuova mano. Ottimo.
Trascorse qualche minuto di masticazione. Le urla erano meno intense, sentivo ancora guaiti sempre meno convinti, affannati. Ero quasi sazio. Un ultimo morso e riuscii a portar fuori la testa, il busto e le braccia. Ero nel mio appartamento e guardavo Ba'al in faccia.
Un cane nero come la pece si agitava e abbaiava verso una donna che fumava da tutto il corpo, sdraiata di schiena sul mio letto. La faccia terrosa di Ba'al fu sufficiente a farmi ridere ancora, le gocce di sudore freddo che accompagnavano la sua espressione stupita e spaventata venivano subito assorbite dalla pelle fangosa. Salutai:
- Ciao, montagna di merda!
Gli azzannai l'occhio. Ancora lo mangiai dall'esterno, come aveva fatto con me. Ocra per ocra, oserei dire. Distrussi testa, spalle, braccia e per ultime consumai le mani, come se stessi mangiando una seconda pelle. Per terra sabbia e vetro, probabilmente formatosi al contatto con l'altra cosa. Ero di nuovo io, ma senza un occhio. Ed ero nudo di nuovo, non eccessivamente presentabile con una donna sconosciuta davanti. Il cane ancora abbaiava.
Andai in bagno, presi un asciugamano e me lo avvolsi attorno alla vita, facendo finta di essere appena uscito da un bagno di fanghi. Mi avvicinai alla fumante presenza sul mio letto e mi sedetti accanto a lei, riprendendo fiato. Il fumo che emetteva non aveva nessun odore. Si girò e si coprì con le lenzuola, guardandomi e sorridendo:
- Ciao. Mi stai rovinando il materasso.
Il sorriso le scomparve quando vide il cane che non sapeva se scodinzolare, ringhiare o abbassare le orecchie con la coda tra le zampe. Si avvicinò a me ringhiando sommessamente. Mi annusò la mano e lo guardai negli occhi color ambra. Si avvicinò alla donna barbecue e fece la stessa cosa. Guaì, arretrando con la testa abbassata. Si allontanava e il muro si scioglieva in una rossa melma fangosa, mentre ci si infilava di culo. Entrò fino al naso, guaì un'ultima volta e scomparve assieme alla lava che aveva creato. Apparve una scultura a forma di cane modellata sulla parete. Come l'avrei spiegato alla signora Foster?
Mi alzai e mi rivolsi alla ragazza, che non aveva ancora parlato:
- Sono Jack. Sei a casa mia. Immagino tu voglia fare una doccia e mangiare qualcosa.
- Cos'è doccia?
Ottimo. Quella ragazza, secondo i ricordi di muso franato, era lì dall'inizio. Lo spirito o che cazzo fosse del fuoco non aveva assimilato altre persone come aveva fatto quello della terra, quindi lei era lì dall'inizio. Anni, secoli, forse millenni senza sapere nulla di ciò che fosse accaduto. Anche perché a quei coglioni non interessava tanto cosa succedesse agli uomini e su questo eravamo d'accordo, anche se mi davo anche io del coglione. Insomma, se ne stava sul mio letto, avvolta dal mio lenzuolo, sporca di cenere e credo carbone, mi fissava imbambolata e non sapeva cosa fosse una doccia. Sembrava uscita da un film porno sui barboni. Mi alzai e le feci cenno di seguirmi, che in pratica voleva dire indicare il bagno. Si alzò e fece due passi incerti, non camminava da tanto. Le mostrai come funzionava l'acqua corrente, nel suo stupore nel vedere la pioggia fatta in casa a comando. Le mostrai una saponetta, non sapendo che avrebbe pensato dello shampoo o di un bagnoschiuma e mi allontai, aspettando il mio turno. Mi sedetti sul letto e mi rilassai un attimo. Era tutto finito, adesso avevo il controllo delle mie azioni e potevo continuare a fare quel che desideravo fare dall'inizio: i cazzi miei e bere qualche whisky. Frugai in qualche cassetto e trovai i miei abiti, il portafoglio e con un grugnito di approvazione lo zippo e un pacchetto di sigarette quasi pieno. Ne accesi una e aspirai profondamente. Mi mancava qualcosa e sapevo cosa.
Cercai in tutti gli stipetti del buco in cui vivevo, sotto il letto, nell'armadio e nello zaino custode che stava ancora all'ingresso/porta della camera. Niente, neanche una goccia di liquido rinvigorente. Spensi la sigaretta sul comodino e ne accesi un'altra. Una donna bionda uscì dal bagno completamente nuda e tossii. Presi un altro asciugamano e glielo tirai addosso. Rimase a guardarlo e andai a spegnere l'acqua che aveva lasciato aperta.
Per fortuna un asciugamano non era difficile da capire e si asciugò, mentre cercavo una maglia da farle mettere addosso. Se la mise addosso e per fortuna era abbastanza grande da farle da abito.
- Siediti e aspetta, ora tocca a me. Fai come se fossi a casa mia.
- Claire.
- Bene. Claire, fai come se fossi a casa mia.
- Fame.
- Tra poco andiamo da qualche parte, ho bisogno di bere.
Entrai in doccia e la sigaretta si spense a contatto con l'acqua. Acqua gialla e marrone scendeva terrosa dalla mia pelle, barba e capelli diventarono più leggeri e pipino il grande si sentì più allegro. Uscii e mi asciugai, misi i vestiti e mi guardai allo specchio. A parte l'occhio mancante, non ero tanto brutto. Mi ero lasciato con due occhi, ora solo uno vedeva barba incolta, capelli lunghi e pelle rossastra. Potevo passare per un turista dopo la prima volta in spiaggia ad agosto.
Andai in camera e la grigliata umana stava guardando fuori dalla finestra, ancora rotta da quando mi avevano convinto a fare il gran salto. Letteralmente. Mi sedetti sul letto e mi misi gli anfibi, passai a lei un paio di vecchie scarpe da ginnastica che non avevo mai usato e che le stavano come fosse un clown col baricentro sui talloni. Strappai da un'altra vecchia maglia una striscia di stoffa e la indossai come fosse la benda di un pirata. Potevamo uscire.
- Andiamo.
Aprii la porta, lei faceva fatica a seguirmi sulle scale e mi dovetti fermare parecchie volte per aspettarla. Arrivammo finalmente al portone e nessun rumore si sentiva dall'appartamento della signora Foster. Meglio così. Aprii piano e subito la strada si palesò davanti ai nostri occhi, il continuo scorrere di macchine senza meta in un fiume di asfalto senza meta. Claire si spaventò e si aggrappò subito a me, stingendo forte. Mi girai di scatto e si staccò subito:
- Odio essere toccato!
Ormai però il danno era fatto: mi aveva toccato. Il suo sguardo era terrorizzato e sollevato allo stesso tempo, tremava e non si capiva se lo faceva per paura o gioia. Le sue mani diventarono velocemente sabbia grigia, le sue braccia si sgretolavano e seguirono le spalle, fino a che con un filo di voce sentii le sue ultime parole, ormai sgretolate anch'esse:
- Era ora...
Rimasi per qualche minuto a guardare quel che era successo, la montagnetta di sabbia con la mia maglia e le mie scarpe non ricambiava il mio sguardo. Certa gente non sa proprio come comportarsi.
Uscii e mi incamminai senza pensare ad altro che a un liscio sorso di bourbon, accendendomi un'altra sigaretta e sputando quella umida che avevo ancora tra le labbra. Mi sembrava di non aver fumato da anni e bevuto da decenni. Trovai un bar di quelli che piacciono a me: scuri, bui, in legno scheggiato e che quando si apre la porta ed entra la luce del tramonto i clienti si rintanano in angoli ancora più oscuri. Lasciai il sole morente alle mie spalle assieme alla Lucky Strike e andai a sedermi al bancone. Nessuno ai tavoli, nessuno al bancone: il mio locale ideale. La barista la conoscevo già, probabilmente aveva cambiato posto di lavoro. Chi se ne frega.
- Ciao "tesoro".
- Ehy dolcezza, non ti ho già visto?
- Si. Whiskey, due uova fritte, due toast.
Masticando l'onnipresente gomma e dedicandomi una smorfia da diva anni 30 come credo la sua data di nascita, dopo qualche minuto mi portò il primo bicchiere e il piatto da dopoguerra. Ingollai il whiskey e ne chiesi subito un altro. Quel calore mi diede un brivido che mi fece subito tornare in me, nella mia pelle. Sentii tossire e il bar era vuoto. Forse era stata la cameriera.
Presi una fetta di pane e la addentai. Si sbriciolava.
Con la forchetta portai alla bocca metà uovo e divenne sabbia. Merda.
Una voce acuta, femminile e infantile risuonò nella mia testa:
- Ma io ho ancora fame, Ba'al...
- Devi aspettare, Larish, ora non siamo noi a decidere.
Li sentivo ancora. Ancora. Erano dentro me, ancora dentro me! Svuotai con un sorso il bicchiere e per poco non presi in pieno la cariatide masticante, tirandolo sullo specchio dietro il bancone. Spazzai con una manata il piatto Lo specchio si frantumò, mi vidi in tanti frammenti. E non ero solo. Quasi trasparenti dietro le mie spalle, una nuvola viola appuntita e un toro giallo scuro guardavano tristi il mio viso infuriato nel riflesso dello specchio.
- Vi sento, bastardi.
Ba'al fece la stessa espressione che aveva quando spuntai dal suo petto, Larish si mise a piangere e sentii la loro disperazione, sentirono la mia rabbia. Raggiunsi con una mano la bottiglia più vicina, una vodka con l'etichetta ormai sbiadita. La cameriera, rifugiata sotto il bancone era riuscita, tremante, a prendere il suo telefono e ora stava chiamando la polizia. Aprii la bottiglia e ne presi un lungo sorso per calmarmi. Accesi un'altra sigaretta.
Ba'al cominciò a russare, Larish svenne. Almeno non reggevano l'alcool.