sabato 1 febbraio 2014

Stati di depressione e whisky in sclero numero 9.

Allargai le braccia per capire dove fossi. Non vedendo nient'altro che polvere gialla, avrei dovuto affidare tutto a tatto e udito. Nessun suono, un silenzio che assordava. Fanculo l'udito, solo il tatto. Un ultimo controllo per sentire se non avessi dimenticato niente da attaccarmi addosso e ripensai ai vecchi cartoni animati giapponesi, sentendomi un robot componibile. Mi sarebbe piaciuto un sacco avere un'arma di quel tipo addosso. Che so, magari un pene fiammeggiante o chissà che. Attenti, arriva Jack col suo cazzo spaziale roteante! I nemici sarebbero stati fottuti letteralmente.
Feci qualche passo a tentoni, mi sembrava di dover imparare a camminare di nuovo. Il palmo destro sfiorò qualcosa che si sgretolava e mi avvicinai a quella che somigliava a una parete. Con tutt'e due le mani tastai quel fragile muro e cercai di seguirlo un po', camminando lateralmente, attaccato per non farmelo scappare. Sentii una sorta di rientranza, un pezzo mancante troppo regolare per una superficie così incasinata. E vediamo cosa c'è dentro. Infilai prima la mano, poi il braccio. Era poco più largo del mio arto sinistro e sfioravo qualcosa di mobile, brulicante... Graffiai un po' e schiacciai roba croccante e umida, dei biscotti vivi. Bleah. Allungai ancora stendendo la spalla e trovai tre fessure, di cui mi accorsi solo dopo averci infilato le dita e averle sentite mordere da qualcosa che non mi lasciava e mordeva più forte. Un click leggero e ritirai il braccio di scatto. Non potevo guardare le dita, ma pulsavano sui polpastrelli. Scossi la mano e la sensazione sparì immediatamente.
Continuai a tastare il muro e un soffio mi colpì il viso. Continuai a seguirlo. Dopo un minuto il giallo dell'aria si fece più chiaro e luminoso, quel tipo di luce che si vede quando è nuvoloso e le nuvole si fondono con l'asfalto. Piano piano i confini delle cose si fecero quasi nitidi, c'era un'apertura più avanti e potei staccare le mani dal muro.
Un altro passo e uscii all'aria aperta. Aperta... Insomma.
Ora vedevo di nuovo, ma sempre quel cazzo di ocra in tutto. Sembrava un deserto enorme in una stanza. Qualche edificio di sabbia, lontano delle colline e attorno, chilometri e chilometri lontano, degli anelli enormi e sfocati per la distanza, che si chiudevano come se si guardasse un anfiteatro dal basso. Non so chi avesse creato questo posto, ma come arredatore faceva schifo. Chiusi l'occhio e respirai a fondo puzza di terra arida e marcia insieme. Mi si stapparono le orecchie e l'udito tornò per sentire un vento costante e sommessamente ululante. Feci qualche passo ancora e notai che le pareti dell'anfiteatro non cambiavano di prospettiva: troppo lontane. Solo, meno sfocato, qualcosa davanti a me, una giuntura tra gli anelli enormi. Viola scuro, una colonna gigantesca che li teneva uniti. Anzi, che li penetrava in un punto preciso.
Ora, che cazzo di agenzia di viaggi usava Ba'al? Gliel'avrei chiesto dopo averlo riempito di calci in culo. Nessuno mi può mangiare!
Prima domanda: dov'ero finito? La logica, ammesso che ce ne fosse stata una, suggeriva che fossi finito dentro la statua mangiapersone rottainculo facciadimerda. Mentre riflettevo e camminavo, uno scalpiccio attirò la mia attenzione. Mi fermai e guardai attorno: un punto ondeggiante si avvicinava. Presi una pietra come arma e la tenni dietro la schiena. E ora chi cavolo era? Se non potevo star solo neanche per i cazzi miei... Veloce come un ghepardo che scorreggiava proiettili di tabasco, una figura rossa si avvicinava a me trascinando polvere e terra coi suoi... Piedi? Appena riuscii a capire cosa fosse, vidi un tronco umano senza braccia, poggiato su cinque cose che sembravano gambe divaricate, ma che poi scoprii essere tre gambe e due braccia. Piedi e mani toccavano per terra, venivano usati come zampette frenetiche. Non aveva pelle se non in testa, per questo era rosso. Si fermò quasi istantaneamente a un metro da me, mi guardò inclinando il capo, sulla cui cima aveva attaccato un orecchio. Che schifo. Mosse un braccio-gamba e provò, in silenzio, a toccarmi avvicinandosi lentamente. Tirai fuori la pietra e feci per tirargliela addosso:
- Non ti avvicinare, granchio scotto!-
Bloccò la protesi e continuò a scrutarmi. Una voce esitante, roca e acuta:
- Tu... Io Keshkesé.- Si colpì il petto con un piede.
- Non capisco il granchioscottese.-
- Mi name, Keshkesé. Arriva tu del poco stai qui.-
- Aspetta. Tu ti chiami Keshke...-
- Sé.- Annuì con forza.
Abbassai la pietra, ma non la lasciai. Non sembrava cattivo, ma il mio istinto mi aveva procurato troppi guai per seguirlo ciecamente. Anzi, orbamente.
- Ora che so il tuo nome, posso continuare a non interessarmene. Addio.- Girai i talloni.
- No! Sta tu! Jekepenra nosce!-
Sollevai il sopracciglio sull'occhio sano e mi girai. A quanto pare nell'universo ero l'unico che non si conosceva:
- Ho capito solo “no”- Mentii.
- Sa Jekepenra capissa Keshkesé. Vuoi chiede e nosce?-
- Perché sai chi sono?-
- Vento de muri lontane parla voce da te, capta di elo. No spaventera perme? -
- Senti, già sto facendo una fatica immensa per capire che cazzo stai dicendo: ho l'impressione di ascoltare radioscarabeo. Cos'è che i muri parlano di me?-
- No spaventera perme?-
- Mi fai schifo, ma ho visto e sentito peggio sulla pelle.-
- No spaventera perme? No, già chiestato. Na, muri dice con voce tua! Ecco, dice tua! Primissima parla con mina!-
- Eh?-
- Anni passa, ultimo Jekepenra qui. Moltanti sono ante Jekepenra.-
- Va bene, sono l'ultimo arrivato. Molto poco interessante. Ciao-
- Kesh comte.-
- Senti, non mi sopporto neanche da solo.-
Buttai la pietra e andai avanti, passando accanto al picasso umano. Mi cercò di afferrare un braccio e lo fermò come se si fosse ricordato qualcosa di importante. Camminava veloce intorno a me, guardandomi e seguendomi col “tatatatata” dei suoi passi. Passarono almeno venti minuti di “tatatatata” mentre avanzavo. Non sapevo dove, ma dovevo muovermi e andare.
- Hai una sigaretta? Anche una da granchio può andare.-
Si eresse come un suricato e scattò di lato, correndo come prima. Mi guardai intorno e non vidi niente che potesse essere un pericolo. Sparì dalla mia vista per un secondo o due e ancora di nuovo un polverone verso di me. Tornò, si fermò frenando con le mani piedate e mi porse un pacchetto di lucky strike e uno zippo con un piede. Ma che diavolo...
- Conserva quando tu venuto!-
- Su, parla.- Accesi una sigaretta. Mi tastai per trovare una tasca, e purtroppo avevo solo una larga fascia a coprirmi i fianchi. Ma cos'era? Cuoio leggero forse.
- Piace pella?-
- Aspetta... Cosa?-
- Piace pella? Messa grotta che tu veda e toglie-
Mi cadde la sigaretta dallo stupore:
- Quindi per mutande ho...-
- Mina schiena.-
Che schifo bis. Ok, è a posto. Si è privato della sua pelle per me. Ma perché?
- Aspettaviamo Jekepenra! -
- Perché?-
- Frega e incazza Ba'al molte volta, noi accetta. Tuno.-
- Ha mangiato anche te, dunque.-
- Kesh e Zephi e Qrateeah che fa spù e Kruor che prende gamba di elo e Argo che squaglia e no più ma dolore sentiamo e Jekepenra che arrabbia. Uno che solo come è tranne occhio perduto.-
- Fai una pausa che non capisco una sega!-
- Ba'al mangia Zephi prima e Qrateeah e Keshkesé e Kruor e Argo e tu.-
- Ha il vizio, allora. Tu da quanto sei qui?-
- Non dica certo certo certo certo, tempo funziava niente qua, niente nero scande giorno. Mooooltissimo che vede perterra cambia come guarda.-
- Ah. Qualcuno parla decentemente qui?-
- Zephi parla poco, dica si no e poco. No Qrateeah, molte e bugie. Anda Zephi?-
- Decisamente.-
Indicò una collina alla mia destra, si e no mezz'ora di “tatatatata”. Avevo acceso un'altra sigaretta, tenevo il pacchetto in mano, nonostante Keshkesé si fosse offerto di tenere tutto per me. Dopo un po' arrivammo a una collina che collina non sembrava. Era troppo levigata. Dovetti girarle attorno per scoprire una grotta illuminata di verde pallido e segni di pietre incastonate una sull'altra. Era una casa, costruita alla bell'e meglio. Su una sporgenza sedeva un uomo con la testa china, barba lunga bianca e capelli cortissimi e neri come la pece. Anche lui aveva della pelle come abito che copriva maggior parte del suo lato sinistro. Era muscoloso ma non enorme, sembrava che pensasse intensamente. Keshkesé urlò il nome che mi aveva detto gli appartenesse. Un sospiro profondo e sempre più forte rispose furioso:
- Sono Zephir!-
Si alzò e fece un salto verso noi due. Atterrò in piedi e mi guardò a una spanna di distanza, era alto quanto me e vecchio come una tartaruga. Mi colpì senza forza lo stomaco e mi scaraventò a qualche metro di distanza, piegandomi in due. Rotolai e mi fermai strisciando sulle mani. Perché tutti mi colpivano o mi facevano schifo? Mi rialzai, qualche manata per scuotermi via la polvere di dosso e con ancora le sigarette in mano, corsi a testa bassa verso di lui. Avrei trovato magari una valanga di botte, ma non mi deve toccare nessuno!
Si spostò all'ultimo momento, poggiai il piede destro davanti a me per fermarmi e tirai sempre col braccio destro un gancio che lo colpì sulla spalla. Mi caddero le sigarette e lo zippo dall'altra mano. Non si mosse, il pugno era fermo sulla sua spalla e gli cadde la pelle che lo copriva. Tutto il corpo era normale, il braccio sinistro era senza pelle e carne, solo ossa inermi:
- Ti sei fatto male?- Chiese senza scomporsi, calmo.
- No.-
- Neanche col pugno di prima?-
- No... Ma mi hai toccato e mi fa incazzare.-
- Io no ferma lui prima con mano e ricorda no tocca Jekepenra!-
Ecco perché non mi aveva fermato Keshkesé, quando l'avevo incontrato... Ma come lo sapevano?
- Neanche noi sentiamo dolore. Neanche rabbia. Tu si.-
- E...?-
- E ora devi mangiare.-
- Non ho fame.-
- Devi mangiare Ba'al.

Jack

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