martedì 7 dicembre 2010

Stati di depressione e whisky in sclero. Numero 6.



Arrivammo al condominio dove abitava Jack verso sera, il sole stava appena tramontando. Melrahsher mi seguiva. Le luci che provenivano dalla strada e dai caseggiati mi fecero sentire a casa, una casa che non era mai stata mia. Erano le sensazioni del mio ospite. Sostammo un attimo davanti al portone, dovevo cercare le chiavi in tasca.
In un decimo di secondo si aprirono le ante di una finestra al piano terra, quella della signora Foster. Rimase un poco sotto shock. Non credo si aspettasse di vedermi, soprattutto in compagnia di una bionda vestita di nero, con una lunga gonna e una maglia a maniche lunghe con un'interessante scollatura.
Divenne subito rossa, quasi emanava vapore:
- Signor Pendra! Manca da tantissimo tempo, stavo per mettere un annuncio per affittare di nuovo il suo appartamento! Lei è in ritardo con l'affitto, le hanno staccato luce, acqua e gas! Con che coraggio si ripresenta qui? -
Mi voltai e guardai un attimo la mia compagna di viaggio:
- Pensaci tu, per favore. - Dissi laconicamente.
Melrahsher annuì e fissò per qualche secondo la vecchia, che subito chiuse gli occhi e piano si accasciò sul davanzale, ronfante.
Infilai la chiave nella serratura del portone ed entrammo. L'ascensore era stato riparato, e lo indicai a Mel. Una parola risuonò nel mio cervello, ma veniva da lei, che non aveva tanta voglia di parlare: deficiente. Sapeva che avevo bisogno di contatto, e l'ascensore era un luogo chiuso pericoloso per l'istinto.
Facemmo i sei piani di scale a piedi, e solo una volta mi disse 'Smettila di guardarmi il culo!', sebbene sapesse che non ne potevo fare a meno.
Entrammo nel buco dove viveva il ragazzo e notammo con divertimento che l'appartamento era più lercio di quanto ci aspettassimo.
- I soliti maschi...-
- Non cominciare. Pulirò un po', tu hai del lavoro da fare. -
- Ah, si? E cosa, sentiamo...-
- Dai, smettila con quel tono, non ti voglio dare ordini. Dopo aver fatto quello che ti chiedo, potremo di nuovo evocare Ecate, va bene? -
Fece un sorriso splendido, uno di quelli che mi avevano fatto innamorare di lei. Buttai a terra qualche bottiglia vuota di whisky e vodka, il cartone di una pizza e sedetti sul divanoletto di Jack, prima di far sedere Melrahsher sulle mie ginocchia e parlare:
- Mentre pulisco un po' qua, devi chiamare di nuovo Ismaele, mi serve per un incarico. Poi trova Simon, quello della rivendita di liquori, e cancella dalla sua testa quello che è successo in quei due giorni. La stessa cosa farai con Joseph e quella vecchia di sotto. Inventa cosa ti pare da impiantare come ricordo. Dopo tornerai qui, chiameremo Ecate e penserai a me.-
- Hai intenzione di pensare spesso in lingue che non conosco? Scemo! -
- Se pensassi in una lingua che conosci, mi rovineresti l'effetto sorpresa. -
- Uff! Noioso! -
- Dai piccola, abbiamo molto da fare. Intanto chiama Ismaele.-
Con un finto broncio si alzò lentamente e quando fu in piedi chiuse gli occhi, muovendo le labbra come se stesse parlando tra se e se. Una nebbiolina scura si formò davanti a noi, e apparve la sagoma dell'uomo che mi aveva contattato al locale notturno.
- Ti ascolto, padrona. - Disse inchinandosi.
Quando cominciò a rialzarsi, il mio pugno lo colpì in pieno volto rompendogli il naso che subito guarì, non senza provocargli il dolore desiderato. La ragazza strabuzzò gli occhi dallo stupore e urlò: - MA SEI DIVENTATO PIù IDIOTA DEL SOLITO?-
- Mi ha distratto l'altra volta.-
- Se non ti avesse distratto, non ti avrei trovato prima di loro! -
- Errore mio, pardon. - Ma godevo come un riccio. O- oh, espressione da Jack, a quanto pare non si stacca facilmente dalla mia personalità, bisogna tenerlo ancora all'oscuro di tutto o rischia di compromettere le cose.
Ismaele mi guardò torvo e aspettò gli ordini senza dire niente. Presi un pezzetto di cartone della pizza e scrissi qualche parola con una penna trovata per terra. Glielo porsi:
- Queste parole le dovrai dire a Simon poco dopo le dieci del mattino, prima che arrivi Jack. E vedi domani mattina di pagare le bollette, voglio che sia tutto a posto per il suo risveglio.-
- Non prendo ordini da te. -
Stavo caricando un altro pugno, quando la bionda mi fermò il braccio:
- Segue solo cosa dico io. Ismaele, per favore, potresti fare questo per me?-
Sentii la collera salire dallo stomaco quando lo guardò con lo sguardo mellifluo che sapeva fare solo lei. Ismaele annuì e scomparve.
- Gelooooooosoooooo! -
Mi voltai scocciato, la risata di Melrahsher come colonna sonora.
- Su, vai, è tardi. - Dissi con un grugnito.
Aprì la porta e sentii i suoi passi sulle scale. Tolsi il giubbotto e lo buttai assieme ad altri rifiuti, pulii alla bell'e meglio tanto da non far capire che fosse cambiato tanto e mi misi ad aspettare.
Passarono pochi minuti, e Melrahsher fece ritorno:
- Tutto a posto, ora sta a te.-
- Va bene, ogni promessa è debito. Prendi una tua candela e accendila. -
Fece come le avevo chiesto e mi porse la candela. La afferrai con decisione e mi bruciai per pochi secondi il palmo della mano sinistra. La stessa cosa fece lei, soffiando assieme a me sulla fiamma. Il pavimento si sciolse, un misto di lava e carne ribollì al centro di una buca rossa e nera, e con una lentezza esasperante si arrampicò sul bordo di uno scalino melmoso un cane nero, con gli occhi ambrati. Saltò addosso a Mel, scodinzolando come un pazzo, incurante della sua mole e quasi facendola cadere. I gridolini di felicità nell'aver ritrovato una vecchia amica mi fecero sorridere, la mia amata era contenta. Dopo almeno cinque minuti di saluti il cane si accorse di me, ringhiò guardandomi negli occhi e tornò a dare affettuosi colpetti di naso alla sua padrona.
- Anche tu le sei mancato, Ba'al.-
- Si, come no... Dai, mettila a cuccia e ascoltami.-
Melrahsher si sedette per terra, ormai il pavimento si era ricomposto. Ecate si accucciò di fianco a lei, sempre con lo sguardo minaccioso verso di me.
- Ora mi devo di nuovo rintanare dentro questo corpo. Stavolta non sarò legato, ho bisogno di entrare in azione quando voglio, e in alcuni posti può entrare solo Jack.-
- Intendi dire che incontrerai il Boss?-
- Si, ha lui Larish.-
- Io cosa devo fare?-
- Modificherò io i ricordi di Jack, tu devi solo tramortirmi.-
- Come?-
- Fai tu, come ti viene. Starò a guardare da dentro. Piuttosto... Ismaele chi è? -
- L'ho incontrato per caso, non aveva un corpo e gliene ho dato uno. Vagava vicino alla nostra porta e ha deciso di servirmi per gratitudine.-
Scoppiammo a ridere. Ecate ululò.
Mi concentrai, chiudendomi in me stesso. Sentii un fruscio, e fu buio.
Era l'alba, non pioveva da mesi e la terra si tramutava in un pulviscolo fastidioso, misto a cenere e puzzo di carne bruciata. In due percorrevamo la via principale di quel villaggio in fiamme, silenzioso e assordante allo stesso tempo. Un uomo ancora vivo bruciava, e si trascinava urlante spezzando quel silenzio tombale, rompendosi unghie e scorticando la pelle delle mani per cercare un aiuto che non arrivava. Sfilai Larish dalla mia schiena, con un gemito di piacere e di dolore, mentre ancora dormiva. Grondava sangue non mio, e ringraziò debolmente e appagata quando le feci mordere le carni di quel relitto umano. Soffriva, è vero, e misi fine alla sua agonia.
- Sei diventato roppo buono, Ba'al -
- Sono stanco, Melrahsher. -
- Sei vecchio. -
Storsi le labbra in una finta smorfia di fastidio, e rinfoderai di nuovo la mia spada urlando di dolore, stavolta assaporando il caldo ustionante del suo metallo all'interno delle mie ossa. Verso est il sole si levava in fretta, alle nostre spalle, e arrivammo alla fine del centro abitato. Due strade ci si paravano davanti, quando uno strano rumore attirò la nostra attenzione: era una sorta di pianto, acuto e triste. Alla nostra destra un cumulo di rifiuti e sterpaglie sembrava la fonte di quel lamento. Eravamo solo noi due, nessuno ci seguiva e nessuno era rimasto, non avevamo idea di cosa o chi potesse essere.
- Sento guaire, eppure non è il tuo pisello! -
- E finiscila, Mel! -
Mi avvicinai, con la mano scostai i rifiuti, e comparve davanti a me il muso di un cucciolo nero, gli occhi color ambra, l'espressione che riassumeva un misto di malinconia, tristezza e compassione. In un attimo mutò il suo carattere, abbaiò, ringhiò e mi morse l'avambraccio, senza smettere di ringhiare mi rimase attaccato quando lo sollevai con aria di sufficienza. Melrahsher rise, lo prese tra le mani e subito l'animale si staccò dalla mia pelle, forse perché non abbastanza saporita. La mia compagna rise, se lo portò al petto e felice commentò:
- Questa la teniamo, è bellissima! Ti ha tenuto testa e ha capito che sei un cucciolo grande! Ti chiamerò Ecate, contenta? -
- E va bene, la terremo... -
- Guarda che non ti stavo chiedendo il permesso. -
Il cucciolo scodinzolava e abbaiava felice con lei, solo con me ringhiava. Mah, vai a capire le femmine.
Mal di testa e sogni del cazzo. Di sicuro ho bevuto di nuovo come la solita merda che sono...
Fanculo... Tanto chi se ne frega. Licenziato quattro mesi fa, ho solo qualche spicciolo e sono single, ottimo.
Lasciai correre un po' i miei pensieri, e alla fine decisi di alzarmi, avevo contaminato abbastanza il letto con la mia depressione mattutina. Feci un passo e arrivai subito al bagno. Aprii il rubinetto del lavandino e mi sciacquai la faccia. Lo specchio mi raccontò con un'immagine una notte di bagordi. Mi tolsi le mutande-pigiama e mi infilai nella doccia, dopo aver lavato i denti. Un po' d'acqua fredda mi fece svegliare ancora di più con un odioso sussulto. Era tardi, ma tanto non avevo un cazzo da fare.
Passai di nuovo davanti allo specchio, che stava davanti alla doccia, e notai che la mia spalla destra si stava un po' spellando. Piccole macchiette ocra scuro apparivano sotto il rosa pallido... Provai a toccarle, erano dure e ruvide, ma non facevano male. Che cazzo, anche il mio corpo si lasciava andare, prima o poi sarei andato da un dottore. Strappai il cassetto dell'armadio e trovai qualcosa da mettere, prima di uscire. Avevo quasi finito da bere, e Simon di sicuro mi avrebbe fatto ancora credito come da qualche tempo faceva. Aprii il minifrigo per vedere se magari qualcosa di commestibile era rimasto, e trovai dei funghi che prima non c'erano, e supposi fosse l'evoluzione della muffa, mentre le uova che avevo si sarebbero presto schiuse. Il pollo non mi andava, e le buttai nel secchio vuoto... Forse l'avevo svuotato la notte da sbronzo, me lo ricordavo traboccante. Acchiappai la bottiglia di whisky superstite e feci un sorso d'assestamento. Finita. Destinazione secchio, andò all'inferno assieme ai polliuova. Scesi le scale, l'ascensore mi avrebbe fatto venire nausea. Il mondo stava andando davvero male, neanche la signora Foster si degnò di rompermi i coglioni. Mi avviai lento verso l'unico posto dove potevo stare... Dieci minuti dopo aprii la porta del negozio di Simon, odiando non so perché il campanello che suonò come entrai. Ciccio stava dietro il bancone, e quasi si spaventò nel vedermi.
- Ciao Jack, come te la passi? -
- Di merda. Novità?-
- Stanotte credo siano entrati dei vandali qui dentro. Hanno rotto qualche bottiglia, bevuto da altre e hanno spaccato un po' di roba nel retro... Ho avvisato la polizia, ma non credo succeda niente di rilevante...-
- Senti, bombola umana, mi presti una bottiglia? -
- Jack, so che sei in cattive acque, ma sono mesi che vai a credito. Te la posso dare solo se mi fai un favore. -
- Ricattatore del cazzo. Su, spara.-
- Stamattina è arrivato un tizio, e mi ha chiesto se facevo consegne a domicilio. Se mi consegni una cassa di vino a questo indirizzo senza aprire nessuna bottiglia, allora posso regalartene una di rum.-
- Due e affare fatto.-
- Mi mandi in rovina tu. L'ndirizzo è scritto qui. Non è lontano.-
Suonò il campanello della porta mentre prendevo dal retro la cassa di succo d'uva alcolico. Me la misi in spalla e uscii. Al bancone Simon stava incartando una bottiglia di Cutty Sark che mi fece venire l'acquolina... Il cliente sembrava un nerd vecchia generazione: capelli grigi, occhiali e denti storti da sembrare una scacchiera dopo un incidente in un livello di tetris.
Lo guardai storto, mi misi una sigaretta in bocca e mi sembrò di sentire l'impressione di un dejà-vu, quando Simon salutò il cliente chiamandolo Joseph. Uscii e mi avviai verso l'indirizzo del collega alcolizzato. Accesi la sigaretta.
Fortunatamente era tutto vicino alla stazione dove abitavo e dove passavano roboticamente centinaia di persone ogni ora. Avevo perso il conto...
Un grattacielo. Bene. Avrei dovuto prendere l'ascensore e andare sul tetto. Fare l'incontro nell'atrio veniva male... Cazzone sfigato.
L'edificio era un mastodontico blocco unico, quasi cubico e grigio merda di piccione, adatto solo ad una setta che professava l'amore per i bunker della seconda guerra mondiale o per i rifugi antiatomici, tutto dipendeva dal credo religioso. Sul davanti una porta girevole in vetro scuro lo faceva somigliare ad un temperamatite gigante. Non riuscivo a capire che razza di segni erano scolpiti sopra l'entrata, ma lo scutore doveva avere avuto un brutto attacco di emorroidi nel farli, non riuscivo neanche a capire la lingua in cui erano stati fatti. Entrai, ed appena varcata la soglia, avvertìì un breve dolore acuto allo stomaco. Ruttai con la bocca chiusa un alito bollente, che sapeva di terra e sale. Doveva essere stato il whisky di sicuro, mah...
Salutai il portiere, assonnato e grasso da orlare la sedia su cui stava con la ciccia. Occhi rossi da monitor della sicurezza, briciole di qualcosa simile a ciambelle sul muso e baffi (fagocitazione furiosa, supposi), e filmetto erotico sulla televisione portatile. Mai notato un cruciverba o un libro che non riguardasse il sesso in queste situazioni.
Alzò lo sguardo su di me:
- Desidera?-
-No.-
Andai direttamente all'ascensore, pensando fosse un terremoto a seguirmi di corsa. Era solo la gravità che infieriva sul pavimento usando la mole del custode come sfogo per tutte le sue frustrazioni:
- Fermo! Dove credi di andare?-
- Adesso mi dai del tu. Che scarsa educazione.-
Tirò fuori una pistola che nelle sue mani oleose fece fatica a capire dove doveva guardare. Meglio non rischiare, facciamo i bravi.
- Mani in alto! Posa delicatamente la cassa per terra e faccia al muro! -
Posai il vino. alzai le braccia con calma e mi poggiai al marmo della parete. Marmo rosa. Palazzo gay.
- Ecco qua... Attento alla puzza delle ascelle.-
- Non prendermi per il culo! -
Si avvicinò e mi perquisì.
- Attento al cobra. -. Zippo, sigarette, portafoglio e ciondolo.
- Chiudi quella fogna! Cosa sei venuto a fare qui?-
- Devo incontrare una persona. -
- E chi, sentiamo.-
- Non lo so. Mi hanno detto di consegnare questa cosa all'ultimo piano. -
Aprì il portafoglio e controllò i documenti.
Mi girò di scatto, prendendomi per la spalla destra.
- Non mi toccare. Meglio per te.-
- Perché, se no? - Rise e sobbalzò come un budino nel farlo, la mano ancora sulla spalla.
- Perché se no ti ammazzo.- Forse non dovevo dirlo a un gigaciccione con la pistola in mano, ma ormai...
- Smettila e non muoverti. -
Staccò la zampa dalla mia spalla, indietreggiò verso la sua postazione con la pistola puntata verso di me e pigiò un pulsante nella tastiera di un telefono. Brrr, che sguardo cattivo...
- Qui Ralph. C'è un tizio che dice che deve consegnare una cassa sul tetto. -
Una voce acuta, quasi da donna, rispose all'istante: - Chi è? Chi deve incontrare?-
- Dice che non lo sa. Jack Pendra.-
- Mai sentito. Vedi di trattenerlo un po', se non ti sei dimenticato come si fa. Sto arrivando. -
Chiuse la comunicazione e mormorò qualcosa che non sembrava appartenere alla categoria dei complimenti. Pare non correre tanta simpatia tra i due... Meglio ricordarlo per un altro momento.
Sempre con le mani alzate. E se provassi a fare un po' di comunicazione? Frasi fatte o discorso costruttivo? Frasi fatte:
- Freddo, eh? Meno male che sta arrivando la primavera. -
- Già -
Ottimo interlocutore. Osservò il ciondolo e lo sollevò verso la luce per vederlo meglio. Abbassai le braccia e il giubbotto scricchiolò. Il figlio cretino di godzilla si riscosse e mi puntò meglio la pistola addosso, rialzai le braccia di scatto.
- Fermo! Cosa credi di fare? -
- Riposarmi. -
- Ti ho detto di non prendermi per il culo! -
Si avvicinò più in fretta che poté e mi colpì col calcio della Glok alla tempia sinistra. Quelle pistole fanno male anche senza fuoco. Caddi carponi senza perdere i sensi per un miracolo e l'escremento mi prese per il braccio, rialzandomi con uno strattone.
Mai toccarmi due volte.
Appena fui in piedi la rabbia mi assalì con la violenza di un martello pneumatico dopato. Abbattei le mie mani aperte sulle sue orecchie per intontirlo, e come si allontanò di un passo all'indietro, confuso, lo afferrai per le spalle tirando su il ginocchio destro con quanta più forza avevo, e dal soffio mozzato che emise con forza capii che ormai l'umanità era salva dalla sua progenie. Cadde sulla cassa di vino e sentii rompersi qualcosa. Avevo perso due bottiglie di rum! Tirai un calcio alla pancia del bastardo, solo per frustrazione.
La porta dietro la postazione del custode si aprì ed uscì l'uomo con il quale probabilmente il ciccione a terra stava parlando poco prima all'interfono. Dopo un attimo di smarrimento tirò fuori la pistola, cominciando a sparare verso di me. Mi tuffai a terra, raggiungendo il bancone dei monitor. Per fortuna non mi colpì, ma si avvicinò di corsa mentre riuscivo a raggiungere l'altra porta col cartello "high voltage" accanto all'ascensore. L'interruttore delle luci era lì. Staccai tutto. Qualche secondo e il generatore di emergenza cominciò a fare il suo lavoro. Sempre a terra, chiusi la porta d'istinto mentre l'uomo cercava di sfondarla con un calcio. Era più forte di quel che credessi, e la sfondò. Ero ancora a terra, spalle al muro e non sapevo come reagire, stava per spararmi e non credo stavolta sarei sopravvissuto. Buio. Tutto si spense, sentii come un tonfo ed un gorgoglio, poi dei passi lenti, di più persone. Le luci si riaccesero, fuori dalla porta apparvero tre energumeni alti almeno due teste più di me, vestiti di nero e con gli occhiali da visione notturna. La guardia era a terra in una pozza di sangue, aveva le mani che coprivano uno squarcio alla gola da cui usciva la sua vernice interna, stava agonizzando, sputava rosso. Una voce robotica allungò una mano per aiutarmi ad alzarmi:
- In piedi.- Respinsi l'aiuto con uno schiaffo.
- Odio essere toccato.-
Mi sembrò di sentire una risatina soffocata mentre mi tiravo su.
Andai fuori dallo stanzino, sorvegliato in silenzio da quei tre giganti, e notai che del sangue copriva anche il ciccione e la cassa di vino. Mi fermai un attimo, presi la mia roba dal bancone e accesi una sigaretta. Ero un po' sotto shock e come al solito non capivo:
- Perché farli fuori? - Chiesi a nessuno in particolare.
Una voce più bassa della prima mi rispose: - Ordini dal Boss. -
- E chi cazzo sarebbe? -
Subito mi saltarono addosso e mi atterrarono, la sigaretta volò sopra la cassa bagnata di sangue e vino.
- Non osare mai più usare un linguaggio del genere parlando di lui! -
Tossii per il colpo, una mano mi fece sbattere la testa sul pavimento. Non potevo reagire, ma la nausea del tocco su di me era davvero forte. Si alzarono lentamente, e così feci anch'io, recuperando la sigaretta, che buttai schifato. Era spenta. Mi condussero all'ascensore ed entrarono con me. Sotto i pulsanti dei piani c'era una serratura che in un ascensore moderno non ci stava a fare niente davvero. L'uomo alla mia destra inserì la chiave, diede due mandate troppo rumorose e la scatola portagente salì velocemente. La luce che segnava la posizione si fermò tra il quinto ed il sesto piano. Le porte si aprirono su una stanza enorme, bianca da accecare, a destra e sinistra colonne grigie ed al centro, in fondo, un tavolo di mogano con dietro una sedia già occupata.
- Lasciatelo venire da me. Si accomodi, prego. Le posso offrire qualcosa da bere? -
Ero un po' sospettoso, ma avevo una sete... - Un whisky triplo, grazie. -
Mi avvicinai ed il tizio mi indicò una poltrona davanti a se. Mi sedetti ed uno di quei tre poggiò un bicchiere gigante sul tavolo al mio posto, uno piccolo e pieno di un liquido scuro davanti al vecchio che mi guardava studiandomi. Sollevai il mozzicone della sigaretta e, sempre in silenzio da quando m'ero seduto, indicò ancora verso un posacenere incastonato nel tavolo, dove spensi la cicca. Mi guardava ancora. Aspettai prima di attaccare l'anima del malto nel bicchiere. Avrebbe detto qualcosa, e anche se non avevo idea di cosa fosse stato, di sicuro valeva la pena di essere ascoltato. Lo sentivo dentro.

3 commenti:

  1. L'enorme cane e il cucciolo sono neri con gli occhi color ambra e si chiamano entrambi Ecate. Svista o coincidenza?

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