Il vecchio vestiva di bianco, cappello bianco, camicia e giacca bianca, cravatta bianca. Tra le labbra portava un sigaro di dimensioni abnormi. Non so quanti anni avesse, il suo viso era un lenzuolo piegato male su cui si era seduto un elefante con problemi di obesità da quanto era pieno di rughe. Forse era una ruga gigante con una faccia tra le pieghe. Sembrava un'arancia rinsecchita, anche per il colore. Solo i capelli che spuntavano dal cappello erano diversi: un nero quasi blu, inadatto ad una persona così vecchia, magra e raggrinzita. Afferrai il bicchiere e diedi un sorso dopo avere annusato qualche secondo.
- Johnnie Walker Blue Label. Roba che costa. -
- Vedo che se ne intende, signor Pendra. -
- Sono solo un bevitore. Piuttosto, come sa il mio nome? -
- Il palazzo è mio, ci sono le telecamere collegate a schermi in questo piano. -
- Già... Perché sono qui? -
- Mi piace il suo modo di agire, non si è preoccupato di farsi valere con quella guardia. E mi incuriosisce il suo ciondolo. Come lo ha avuto? -
- L'ho trovato per strada, mi è piaciuto e l'ho preso. -
- Molto interessante... Sa, quello è il simbolo di un gruppo di "persone", chiamiamole così, molto importante. Queste "persone" controllano molte cose, e vorrebbero riaverlo. Io faccio parte di questo gruppo, e sono disposto a darle quello che vuole. Possiedo molte cose. -
- Per caso ha un lavoro da offrirmi? Vedo che qui non ve la passate male. -
Finii il drink e poggiai il bicchiere.
- Se ne può avere un altro? - Cavoli, era una bomba quella roba!
- Solo un attimo. Prima vorrei parlare della sua richiesta. Qui non lavoriamo proprio in maniera normale, ha già visto i miei uomini in azione. E hanno solo "dato la liquidazione" a chi non ha saputo fare il proprio lavoro. -
- Non so se riuscirei mai a fare una roba del genere. -
Si alzò in piedi lentamente e si girò alla sua destra, stavolta usando un bastone di frassino nero per indicare davanti a lui. Era molto alto, almeno due metri, e stava dritto, come se gli anni non l'avessero sfiorato passandogli addosso. I tre giganti, che ancora stavano aspettando vicino all'ascensore, camminarono all'unisono e si fermarono a tre passi da me. Una porta scorrevole si aprì piano in direzione del bastone e apparve una vetrina con delle armi lucide, antiche e che sembravano valere parecchio.
- Vede, signor Pendra, queste sono armi di guerrieri e personaggi molto importanti del passato. Le tengo qui per ricordarmi che anche il più forte può essere sconfitto. Quel pugnale apparteneva a Bruto, il figlio adottivo di Giulio Cesare, per esempio. Lei mi chiederà perché tengo vicino a me questi oggetti, vero?-
- No.-
Sorrise. Un sorriso lungo un secolo. - Li tengo vicino a me per ricordarmi anche che niente è eterno, tranne a volte quello che ci lasciamo dietro. Lei mi sta simpatico. Non teme di dire quello che pensa.-
- Sarà perché non penso. Ci facciamo un altro cicchetto?-
Si rivolse ad uno dei burattini neri e gli fece un cenno alzando un poco il mento. Quello si allontanò e tornò in un istante con un vassoio, prese i bicchieri sul tavolo e li sostitui con due uguali a quelli che aveva preso, ma pieni. Liquido scuro per l'anziano di bianco vestito e pura classe liquida per me.
Accennai col bicchiere al suo, mentre lo prendeva dopo essersi seduto di nuovo.
- Che cosa sta bevendo? -
Intanto l'ombra dello scagnozzo/cameriere era tornata al suo posto.
- Porto.-
- Sembra un po' troppo denso per essere Porto. -
- Non le sfugge niente. -
Improvvisamente era diventato serio e taciturno.
- Posso chiederle qualcosa io, ora?-
- Aspettavo giusto questo.-
Mi scrutava quasi crudelmente.
- Ho tre domande. La prima: chi è lei? La seconda: che vogliono dire le scritte sul palazzo e perché siamo in mezzo a due piani?-
- Mi chiamo Argo. Mi chiamano Argo. Chi sono non è una cosa che le deve interessare. Siamo qua perché è casa mia. Le scritte sul palazzo sono semplici slogan pubblicitari, facciamo parte di un'azienda estera.-
- Facciamo? -
- Ha altre domande?-
Incrociò le mani davanti al volto, poggiando i gomiti sui braccioli della poltrona.
- Solo una. Tra tutte le armi che possiede c'è un bastone vecchio e logoro, un pezzo di legno lungo. Di chi è?-
Si alzò in piedi. - Può bastare. Fatelo fuori.-
- Ma? Perché? Che ho fatto?-
Mi alzai di scatto, sempre col bicchiere in mano. Ero molto spaventato, avevo visto come si avvicinavano quei tre, e li avevo visti in azione poco prima. Che culo. Nel caso fossi uscito vivo da lì, non avrei mai più fatto un favore a Simon.
Mi saltarono addosso, caddi a terra, il bicchiere lasciò la mia mano, scappò rotolando e spargendo quel nettare per tutto il pavimento. Porca troia. Un calcio mi fece volare in aria, sentii le costole infrangersi, la schiena contro la parete schioccò in vari punti. Sputai sangue cercando di urlare di dolore, ma uscì qualcosa di simile ad un rutto gelatinoso. Perché mi capitavano sempre casini di questo tipo? Troppo dolore, non avrei retto che per qualche secondo. Da terra quei tre sembravano molto più grandi, si avvicinavano lentamente, inesorabilmente, in silenzio. Il vecchio guardava soddisfatto con le mani dietro la schiena. Le mie palpebre si chiusero piano piano, le lacrime mi fecero vedere sfocate e alte le sagome che camminavano verso di me, un pugno stava per abbattersi sulla mia testa. Sempre la mia carne ci passa. L'ultimo colpo...
Tossii, iniziando a ridere. Il pugno si fermò. Risi sempre più forte, urlai divertito, non so perché. Il vecchio spalancò gli occhi e gridò: - Fatelo fuori! Ora!-
Tre mani chiuse si abbatterono, insieme. Vidi buio.
Ora di uscire. Bravo Jack, ma adesso è il mio turno.
Scricchiolii si fecero sentire dalle mie ossa, uno alla volta, fino a che tutti insieme non ne fecero uno fortissimo. Mi misi a sedere, strofinai le labbra col dorso della mano, il sangue sparì e leccai quello che rimase sulla mia zampa. Minimo raggiungeva i 40 gradi di gradazione alcolica. I tre in piedi erano di spalle, si girarono mentre mi alzavo e rimasero fermi a guardare. Il vecchio stringeva il suo bastone, mostrai i denti in un sorriso nel notare lo sbigottimento in quegli occhi. Adoro quando tremano.
Poggiai le mani sulle ginocchia e mi alzai piano. Allungai la mano destra davanti, col palmo aperto e chiamai: "Melrahsher. Ecate. Sveglia."
Fumo bianco, che quasi non si vedeva nel contrasto con le pareti della stanza, si intuiva ad intermittenza tra le colonne grigie. Mel aveva gli occhi socchiusi quando apparve, le mani in avanti mentre faceva scattare Duenna, il suo tirapugni borchiato. Ecate era pronta a scattare, l'acquolina della sua ferocia colava dalle zanne, ringhiava di piacere.
Argo urlò, corse verso la parete alle sue spalle, che si aprì velocemente e velocemente si richiuse facendolo scomparire.
Gli altri correvano verso di noi, nessun suono nell'attacco, nessun suono nel nostro attacco. Ecate balzò con un salto verso il suo avversario, sulla destra, e con un morso bollente lo afferrò tra il collo e la spalla sinistra, strappando e fondendo quasi tutto il tronco e affondando fino all'addome, facendolo accasciare sotto il suo peso e leccandosi poi le zampe con tranquillità.
Melrahsher mi stupì, non la vedevo da tempo in furia. Il suo ballo letale la condusse fluida sotto il colosso nero al centro, e rialzandosi in una tempesta bionda, con un pugno penetrò con gli aculei di Duenna sotto l'ombelico del tizio enorme davanti a lei. Girò la mano nello stesso punto, fino ad avere il palmo rivolto all'insù. Aprì e trascinò, lacerando le carni fino alla gola. Si sentì un "click" ed una lama uscì dalla sua piccola arma, che seguiva il movimento della mano mentre sembrava in un gesto mostrare ad un pubblico inesistente lo spettacolo sanguigno che aveva creato. Ricadde poggiando un braccio a terra, un ginocchio piegato, come se aspettasse un applauso in quella posa letale. L'uomo, o la cosa che aveva deciso di abbattere, non cadde subito, ma si divise letteralmente mentre si accasciava. La testa da un lato, le membra separate nettamente come le stecche di un ventaglio, per terra si poggiavano viscide di sangue e organi.
Io non avevo tempo, se Argo mi fosse sfuggito avrei dovuto cercarlo ancora. L'ultimo si stagliò contro di me, più basso. Ero tornato alla mia statura originale. Mi bastò un pugno ben assestato e la pelle ocra trapassò gli occhiali per la visione notturna, spingendo la mano oltre la nuca dell'ormai defunto buco con cadavere intorno.
Sfilai l'avambraccio dalla testa del morto e mi diressi verso la bacheca delle armi. Il mio ospite senza rispetto l'aveva definito bastone vecchio e logoro. Quel bastone vecchio e logoro si riscosse ed il suo cuore diede segni di ripresa come avvertì la mia presenza.
Il vetro si infranse come lo afferrai, una lunga lama fine e arrugginita spuntava per tutta la lunghezza di un lato del legno, tagliandomi le dita leggermente, come sempre. Assaggiò dopo secoli il mio sangue, urlò commossa. Larish era di nuovo con me.
Mel mi guardò, Ecate sembrava sorridere. Il commento più bello venne dalla mia compagna bionda: - Su, piccioncini, muoviamoci.-
Con un movimento ad arco scagliai la lama di Larish nel mezzo della mia colonna vertebrale, dove si unì violentemente alle ossa. Urlai forte, di dolore, di piacere, di orgasmo, di vita e di morte. Crepe apparvero sulle pareti e sulle colonne, Ecate ululò, Melrahsher rise forte. Caddi sulle ginocchia, finendo di urlare. Guardai la parete da cui era scappato Argo, mi alzai e seguito dalle mie complici, sfondai il muro passandoci attraverso come fossi un fantasma d'acciaio. Un corridoio di pietra davanti, camminai deciso sempre dritto, il cane zampettava eccitato, Mel seguiva il muro raschiando stridente Duenna mentre camminava.
Dopo qualche metro il pavimento cedette il posto a delle tavole di legno scuro, si allargò in una stanza tonda e di pietre umide, una pozza d'acqua paludosa sul pavimento. Al centro, chi se non Argo?
Non era fuggito per paura, era fuggito per guadagnare tempo, ancora pochi secondi e sarebbe passato al suo aspetto naturale. Argo, il cane da guardia. Sollevò la testa pelosa ed abnorme. Ci vide subito nonostante la poca luce.
Sulle zampe posteriori era immenso, sarà stato alto almeno cinque metri. La testa canina pelosa e piena di muco non era un bello spettacolo, alcune zanne bucavano la pelle e la carne, uscendo dal muso tra sangue e bava. Le zampe anteriori erano altre due teste come quella principale, e mi venne in mente con un sorriso il nomignolo che lo faceva incazzare parecchio. Decisi di scoprire se ancora ci rimaneva male. Ecate si accucciò tranquilla, Melrahsher si appoggiò al muro con le braccia incrociate, come se non le interessasse minimamente il resto dell'universo. Chiusero gli occhi, calme. Strappai Larish dalle ossa, grondante sangue, con un brivido doloroso di piacere.
- Ehi, storpio d'un Cerbero!-
Aprendo la bocca tagliò con le zanne lembi di carne dal suo muso, corse come un pazzo spingendo in avanti i suoi arti carnivori. Non ricordavo fosse così veloce, ed il bianco arancio del suo pelo un po' mi confuse. Afferrò con le fauci della zampa sinistra il mio braccio destro, perse qualche dente ma riuscì a lacerarlo e strapparlo dal mio corpo. Urlai, abbattei d'istinto e di dolore Larish, che azzannò peggio di lui e frantumò sibilando le sue ossa. Tutt'e due senza un braccio, eravamo pari. Forse.
Ecate si alzò e lentamente raggiunse il mio braccio, incurante di tutto e tutti, e se lo portò al suo posto rosicchiandolo un po'. Mel non la fermò, ma aprendo gli occhi raccomandò ad Ecate di stare attenta ai denti, ricordandole che quand'era un cucciolo non le era assolutamente piaciuto appendersi a quella cosa schifosa. Ecate smise e lasciò schifata quel pezzo di me.
Silenzio, a parte un leggero ringhiare proveniente da due delle bocche di Argo ed il gocciolare dei nostri liquidi vitali. Diedi una testata al bastardo, mi ferii la fronte, e lui si abbandonò intontito all'indietro. Balzai su di lui gridando e sfondando la sua gabbia toracica col mio vecchio e logoro bastone tagliente. Il terrore sui suoi occhi si fece intenso, con il braccio rimastogli provò a scansarmi, perdendo anche quello. Anche io sapevo mordere. Se ne accorse quando sputai l'ex unica zampa sana sul suo naso, Larish ancora dentro di lui, che immobile assorbiva il suo sangue, consumava le membra e le divorava come un tarlo. Svanirono piano i gorgoglii del mostro che si seccava in fretta. La spada aveva una fame di secoli, e sfamarla col suo carceriere la eccitava incredibilmente.
Estrassi l'arma rossa e gonfia come una sanguisuga dalla polvere umida e la feci di nuovo schiantare nella spina dorsale. Un altro urlo, stavolta breve ed intenso. Ora poteva di nuovo scambiare con me la vita delle sue vittime, io la vita delle mie con lei.
Raggiunsi il mio braccio a terra, Mel si staccò dal muro e mi fece il verso:
- "Vedrai, Mel, sarà un gioco da ragazzi, non mi farà neanche un graffio..." Si, come no.-
- Mi sono un po' arrugginito, capita! -
- Si, si... Capita. "Vedrai Mel, non saranno pochi secoli ad arrugginirmi" e intanto quel pelouche ti ha strappato un braccio con il pericolosissimo attacco di gommapiuma.-
- Uff! Smettila!-
- Di fare che? Di ripeterti quello che mi dicesti dal fabbro mentre cercavo qualcosa per me?-
- Ero giovane, è successo quasi mille anni fa! -
- Non sei mai stato giovane. Piuttosto, dovremmo tornare dall'islandese per quella cosa?-
- No, faccio io, lui non è più a casa sua, ho sentito che è partito da qualche parte. Va a far visita a Chacal con dei suoi amici.-
- Dove l'hai sentito?-
- Larish ascolta e ha ascoltato per secoli.-
- Peccato, avrei voluto ringraziarlo ancora per Duenna. Sono ancora in pochi a costruire roba del genere.- Accarezzò il suo tirapugni, facendo scattare la lama che usciva dal basso verso l'esterno della mano.
Afferrai una grossa pietra e la tirai via dal muro. Cercai di incastrarla con forza sul moncherino, e quando non si mosse quasi più guardai Ecate, che sonnecchiava.
- Ecate, mi serve il tuo calore.-
Alzandosi, ringhiò di rabbia per averla disturbata. Melrahsher sghignazzò. Quella creatura proprio non mi sopportava. Morse la pietra, frantumandola e fondendola, prendendomi anche le ossa più per piacere personale che per necessità. Con una smorfia di dolore, presi il braccio da terra e quando Ecate si spostò ghignando, lo attaccai e si fuse con la lava che traboccava dalla mia spalla. Un lavoro grezzo, ma funzionale. Riuscivo a muoverlo, era tutto a posto, a parte i vestiti distrutti e logori a causa della lotta e dei miei cambiamenti fisici. Anche se alto poco più della metà di Argo, ero molto più robusto. Mel diceva spesso che ero un'enorme colonna di terra e sangue. Forse aveva ragione.
Mi girai, camminai verso la polvere di Argo e mi chinai a prendere un ciondolo, un ciondolo con la figura di un pugnale che veniva circondato da uno scorpione. Col braccio restaurato diedi un pugno ai resti del Cerbero storpio, frustrato perché mi ero accorto in quel momento che mi aveva spezzato due aculei del gomito.
Guardai la bionda: - Ne mancano altri tre.-
- Sai dove sono?-
- Si, ma ci troveranno loro, e stavolta non avrò bisogno di trucchi.-
- Trucchi... Hai solamente usato Jack come involucro protettivo, se no le protezioni scritte sul palazzo ti avrebbero dato acidità di stomaco.-
- Mi da fastidio!-
- Gné gné gné!-
Mi alzai, Mel fece un cenno ad Ecate ed il pavimento si fuse, l'acqua stagnante evaporò all'istante e sprofondammo nelle fondamenta del palazzo.
- Ba'al, ricordi come si chiamava il fabbro?-
- Sua madre lo chiamava Sebastian.-
Magari un giorno l'avremmo incontrato di nuovo.
Arrivammo in un buon punto delle fogne e ci dirigemmo all'appartamento di Jack, che giudicammo una buona base operativa, al centro di tutto, facile da scoprire se si voleva essere scoperti.
Cominciai a cambiare forma, non mi andava di farmi vedere in superficie col mio aspetto naturale. Mi rimpicciolii e tornai al metro e ottanta circa di Jack, seminudo, gli aculei si ritrassero e purtroppo rimase qualche macchia della mia pelle ocra sulla sua. Uscimmo da un tombino in un vicolo vicino, il nostro amico canide si dileguò, non le piaceva il mondo umano. Noi "umani" salimmo le scale al piano dell'appartamento, mentre sbuffavo di nuovo perché Melrahsher non voleva prendere l'ascensore. Eravamo stanchi, il tempo andava veloce in quell'ambiente, avevamo perso almeno 14 ore.
Mi buttai sul divano, Mel si spogliò e si mise a dormire sul letto. La guardai e sorrisi. Anche un demone si innamora. Un demone che avrebbe avuto di nuovo il suo posto, stavolta soltanto con Ecate e Melrahsher accanto. Chiusi gli occhi e aspettai il giorno. Larish si addormentò docile, fusa con le mie vertebre.
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