Dopo tante indecisioni, ho finalmente preso una posizione al riguardo: pubblicherò a puntate il racconto che sto scrivendo su questo blog, tra le altre rubriche e vari articoletti.
Ora, io su questo raccontino ci sto mettendo un bel po' di me, quindi vi sarei grato se commentaste o faceste delle critiche vuoi positive, vuoi negative, per far crescere ed evolvere la storia e per farvi magari divertire un po' di più. Si accettano suggerimenti, ma sappiate che per mia indole (e questo lo dico scherzando ed esagerando negli altri articoli) non sempre accetto.
Beh... Grazie e se volete leggere mi fate un piacere. Probabilmente lo posterò una volta alla settimana, ma posso essere anche un bel po' più lento.
Ciao e buona lettura.
Jack Pendra.
Mi sembrava di stare dentro ad un quadro di Modigliani.
Ogni cosa era così lenta da esasperare i miei poveri sensi confusi. Almeno, quelli che ancora pensavo di possedere. Il tatto, il gusto e forse l'olfatto erano andati...
Passo dopo passo, un passo lento dopo un altro passo ancora più lento cominciai a muovermi appena mi sollevai dalla panchina della metropolitana dove avevo passato la notte. Quella fottuta notte. Non mi mossi tanto però.
Un automa in overdose sarebbe stato più scattante di me.
Sentivo ogni suono e rumore attraverso un cazzo di materasso imbottito di gommapiuma e le immagini che percepivo, confuse, alte e scure, mi facevano venire una nausea quasi insopportabile. Per non parlare dell'acidità da sbronza. Mi sedetti di nuovo.
La gente scorreva lenta, ma questo era il mio punto di vista. Sapevo bene, ne ero consapevole ,che seduto su una panchina della metropolitana le cose che vedevo non erano lente, ma frenetiche. Tanto frenetiche da sembrare una convention di ballerini di samba epilettici in piena crisi.
Sollevai la testa imprecando sottovoce, con la lingua felpata e un alito che quasi mi fece svenire. Maledetto rum dozzinale.
Mi rialzai in piedi stiracchiandomi,i l lamentoso scricchiolio della pelle del mio giubbotto come colonna
sonora. Sbadigliando chiesi l'ora ad una guardia che, non so perché, prima rispose (le nove e mezza, cazzo! Quanto ho dormito?), e poi con una vocina lontana, mi chiese i documenti. Glieli diedi. Li esaminò.
sonora. Sbadigliando chiesi l'ora ad una guardia che, non so perché, prima rispose (le nove e mezza, cazzo! Quanto ho dormito?), e poi con una vocina lontana, mi chiese i documenti. Glieli diedi. Li esaminò.
- Signor Pendra, vada a casa a farsi una doccia e magari si lavi i denti con un po' di acquaragia. Puzza che neanche una riunione di netturbini usciti da un culo gigante.
- Ehi! Mi ruba le battute!- risposi in non so che lingua.
Mi ripresi i documenti,s alutai con un rutto e mi allontanai verso l'uscita sanza dimenticare di prendere il mio fedele zaino con dentro il rum rimasto.
Salii le scale del sottopassaggio e mi pettinai con una manata.
Il sole bruciava i miei poveri occhi da bevitore nostalgico, quindi frugai nella tasca interna del cappotto e raccattai i miei occhiali da sole trovati una volta non-so-come non-so-dove. Cominciavo a pensare che neanche il giubbotto fosse il mio.
Inforcai gli occhiali e qualcuno schiacciò play, poiché come in un film, tutto ricominciò a scorrere con la normale fottuta velocità di sempre.
Aprii lo zaino stando ancora in mezzo all'entrata del sottopassaggio, tra le bestemmie di chi mi scavalcava quasi letteralmente per passare.
Acciuffai il sacchetto del tabacco, presi una cartina e mi fabbricai una sigaretta stortissima, coi postumi di una bella e tosta sbronza ancora in corso.
Sfilai lo zippo dai jeans e accendendo la paglia aspirai avidamente, decidendo di avviarmi verso casa.
Mentre percorrevo quei 200 metri che mi separavano dal buco dove vivevo, mi alzai il bavero della giacca per proteggermi dal vento gelido di quella mattina uggiosa di gennaio. Mi fermai, aprìi lo zaino ed in mezzo al marciapiede tirai fuori la bottiglia, svitai il tappo e diedi una lunga sorsata ristoratrice. Il freddo scomparve quasi del tutto mentre riavvitavo e con un brivido alcolico di piacere riponevo il rum.
Davanti al portone di casa presi le chiavi dalla tasca, che subito caddero per terra. Chinandomi per raccoglierle,l a finestra della signora Foster si spalancò, mostrando la faccia di una vecchia che di sicuro aveva passato il millennio. Circondata dalle tende di pizzo pacchiane che tanto le piacevano, col suo vestito da Betty Boop sembrava una Cenerentola porno putrefatta. La guardai in faccia rimanendo in quella posizione da colpo della strega.
- Ha fatto baldoria anche stanotte eh, signor Pendra?
Che palle. Vediamo se s'incazza.
- Sissignora. E poi sono andato a battone.
Pare di si, mi guarda infuriata e sembra un bulldog con un peperoncino nel culo.
- Signor Pendra, va bene che può fare quello che vuole, ma ieri notte ha fatto così tanto baccano che stavo per chiamare la polizia! Prima che lei arrivasse questa zona era tranquillissima!
- Ha per caso idea di che ore fossero quando sono uscito di casa?
- Si! Lei è uscito verso le dieci e mezza di sera!
Con la calma di un bonzo, intanto che prendevo le chiavi dal marciapiede, risposi.
- Per legge, signora Foster, posso fare "baccano", come lei dice,f ino alle ventitrè e trenta. Quindi si faccia i cazzi suoi e buona li. L'affitto lo pago, le bollette le pago quindi non mi trituri i coglioni.
Ormai il vapore le usciva dal naso. Mi rialzai appena in tempo per farmi scuotere i capelli dalla folata proveniente dalla finestra che sbatteva chiudendosi aiutata con forza dalla cariatide. Con una scrollata di spalle mi voltai verso il portone.
Il primo passo oltre la soglia mi trasportò nella fredda penombra del vecchio condominio.
Quell'ascensore antidiluviano bastardo era di nuovo guasto, quindi dovetti farmi sei piani di scale.
Davanti alla porta di casa mi accorsi che la sigaretta che avevo fatto alla stazione si era spenta da un pezzo ed avevo dato una boccata solo quando l'avevo accesa.
Aprii la porta e poggiai lo zaino per terra, considerando che mi sarebbe servito più tardi al lavoro, e appesi il giubbotto su un chiodo che sporgeva dalla parete alla mia destra.
Mi annusai distrattamente un'ascella e repressi un conato di vomito .La guardia aveva ragione, e perciò non osai testare di nuovo l'alito dato che almeno un poco alla mia schifosa pellaccia ci tenevo. Buttai gli occhiali sullo zaino.
Raggiunsi il bagno che distava si e no 12 centimetri dall'ingresso e mi tolsi le scarpe al volo, tirandole in giro per la camera da letto a sinistra, dirimpetto al bagno e che fungeva anche da cucina, salotto e stanza degli ospiti. Era proprio un buco.
Arrivato al cesso mi spogliai nudo e gettai i vestiti nella lavatrice, ricordandomi di tirare fuori dai jeans il caro zippo. La felpa nera, come nero tutto quello che indossavo, faceva resistenza nell'entrare.
Trovai un pacchetto di lucky strike sul davanzale della finestra e, chiusala, me ne accesi una sedendomi sulla tazza ,buttandoci la sigaretta "artigianale" che neanche avevo fumato e non so perché tenevo ancora in mano.
Seduto li, ripensai alla notte che avevo appena passato fuori. Niente, nessun ricordo. Solo Rachel, una rossa niente male che conobbi la sera prima, che mi diceva di prendere la bottiglia, il giubbotto, e andare a fare un giro fuori. Poi buio e il risveglio alla fermata della metro con la sensazione di vivere in un videoregistratore rotto.
Tirai la catena dello sciacquone e mi alzai. Andai allo specchio e guardai quella faccia da culo che appariva davanti a me. Non mi ricordavo così brutto... Non che fossi bello, ma un poco di dignità teniamocela, no?
Nonostante mi ricordassi (o non mi ricordassi... mah!) di aver passato soltanto una notte fuori e me l'avesse confermato la vecc hia baldracca del piano terra,l a mia barba era lunga come ne fossero passate quattro.Gli occhi che mi ricordavo verdi con la congiuntiva bianca, erano ora striati di venature rossiccie e non mi ricordavo di avere le occhiaie così profonde su un faccione stranamente pallido. I capelli erano a posto. Afferrai un rasoio usa e getta, la schiuma da barba e radendomi il grugno lasciai un accattivante pizzetto che quasi mi baciavo da solo.
Feci una doccia e mi lavai i denti masticando lo spazzolino e con un sorriso smagliante mi esaminai la dentiera. Forse non lavai bene il forno di questa brutta faccia, ma l'alone rosso sullo smalto dei macinacibo non l'avevo ancora notato. Rimasticai lo spazzolino e dopo averlo messo a posto mi diressi verso la camera da letto.
Trovai un paio di pantaloni nel cassetto affianco al letto e mi infilai una camicia di cotone, abbinando il tutto con un paio di mocassini che odiavo e mi cosparsi di dopobarba.
Controllai l'orologio sul muro:le dieci. Ero stato un fulmine,a vevo ancora un'ora per raggiungere l'ufficio.
Fu in quel momento che lo sentii per la prima volta: un soffio leggero, un respiro evanescente, ma molto vicino...
Convinto che ci fosse qualcuno, mi voltai di scatto ma non mi stupii quando non trovai nessuno. Eppure lo sentivo ancora, sempre più vicino e pesante sul mio collo.
Sparì nel nulla come era apparso.
Non sono né superstizioso né religioso, ma mi stavo letteralmente cagando addosso. La paura di essere diventato schizoide tutto d'un tratto si faceva strada in ogni mia molecola.
HO BISOGNO DI CALMARMI! Raccattai lo zaino,i ncurante degli occhiali che per fortuna non si ruppero, strappai quasi la cerniera e ancora prima di sfilare la bottiglia la stavo già svitando.
Diedi una lunga sorsata. Meglio.
Solo allora mi accorsi che la notte non avevo bevuto: il livello del liquore stamattina era uguale a quello di quand'ero uscito di casa la sera prima con Rachel, e avevo bevuto solo stamattina al risveglio, senza contare il sorso tranquillizzante.
Mi strofinai gli occhi e tenendoli chiusi mi massaggiai le tempie con il pollice e l'indice della mano sinistra, poggiando la destra che teneva la bottiglia al muro. Dopo un attimo di riflessione e qualche profondo respiro risollevai le palpebre e le immagini si fecero oblunghe, sfocate, quasi impalpabili.
Strano, pensavo fosse stato solo un problema di quando mi svegliai la mattina, dovuto alla sbronza, ma adesso ero sobrio... O almeno, non brillo del tutto.
Decisi di ignorare la cosa per il momento, dato che durò in tutto qualche secondo, anche se mi sentivo abbastanza turbato. DIAVOLO! I sospiri immaginati, gli occhi, i denti e la pelle diversa dal solito e questa roba da videocassetta guasta... CAZZO! Mi sto rincoglionendo, pensai. BASTA! Urlai rabbiosamente per liberarmi da quel senso di impotenza che strisciava lungo la mia schiena, urlai così tanto da farmi dolere e bruciare la gola e tossire come per espellere le tonsille.
Presi di corsa le chiavi, lasciai cadere la bottiglia, afferrai il cappotto e mi scaraventai giù per la tromba delle scale. Corsi così forte da sentire solo quando arrivai al portone principale la porta di casa che sbatteva.
Dimenticai a casa lo zippo e le sigarette, quindi decisi di comprare tutto strada facendo.
Purtroppo dal tabaccaio mi accorsi di non avere il portafoglio, e non ricordavo dove l'avessi lasciato. A casa non l'avevo visto.
Anche nella sfiga però qualcuno ti sorride: Katy, a commessa bionda del tabacchi, mi fece credito, e potei così soddisfare la mia fame di nicotina.
Salutai Katy e con passo veloce svoltai l'angolo per andare al lavoro e stare al sicuro in quel fottuto ufficio, che distava quasi un chilometro.
Come in un incubo, il tempo rallentò di botto e la luce del sole si fece più intensa,b ruciante nella sua corona avvolgente di raggi. Rimpiansi di non aver preso i miei fidi occhiali da sole. Di nuovo tutto era sfocato, sfuggente,l e persone che incrociavo camminavano ed agivano troppo lentamente per appartenere alla dimensione reale.
I miei gesti però mi apparivano normali. Con la solita velocità di una persona normale,v oglio dire. Qualcosa cambiava in me, nessuno mi osservava. Fino a poco prima, nessuno escluso,l a gente accompagnava la mia presenza con occhiate disgustate. Ora non esistevo.
Cercai di canticchiare per distrarmi, ma la mia voce suonava strana persino a me stesso, come innaturale, ed avevo di nuovo la sensazione di quei-cazzo-di-suoni-ovattati intorno a questo cazzo-di-posto infestato di umani.
Ma come diavolo parlavo?! Ogni parola aveva un tono così basso da rimbombare nel terreno. Ok, calma. Inspirai ed espirai profondamente. Mi sentivo un colibrì incastrato in un gruppo di lumache narcolettiche.
Cercai di ricordare: ok, non era mai successo fino a stamattina.
Decisi di trovare Rachel: l'unica che poteva dirmi che diavolo era successo la notte, e vaffanculo al fottuto lavoro.
Dunque, dove l'avevo incontrata? Ah, già,l a rivendita di liquori: si avvicinò e... Niente, nada, altro buio. Pausa nei ricordi e poi a casa mia che diceva di uscire. Ed io come uno stronzo arrapato che le do retta, seguendo quel maledetto pisello che non si fa mai i fatti suoi.
Piano piano le persone cominciarono a muoversi normalmente, i suoni si facevano reali, la luce del sole diminuiva e la gente cominciava di nuovo ad evitarmi.
Raggiunsi quel negozio bastardo in 5 minuti, correndo come un cocainomane e facendomi esplodere un polmone e mezzo circa. Spalancai la porta, bestemmiando ricordandomi di aver lasciato il mio zaino custode a casa.
Simon, il commesso, mi riconobbe subito e mi venne incontro, mano tesa e panza traballante quasi volesse attuare un attacco terroristico nei miei confronti. Faceva proprio vomitare, quindi ignorai il saluto.
- Ciao Jack! Ti do la solita bottiglia di vodka o preferisci il Jameson oggi?
-Vodka! Cioé,volevo dire... Anche vodka, ma mi serve una fottuta informazione del cazzo.
- Spara! Ma per le informazioni sono 10 in più, lo sai.
Merda.
- Lo so, lo so, pidocchio di merda! Per tua sfiga però ho perso il portafoglio non so dove, e dovrai farmi credito.
- Tranquillo, è qui. L'hai lasciato in negozio quando hai rapito la rossa.
- C'è qualcosa ancora dentro? Non ti sarai fregato tutto, spero.
Mi guardò come se avessi petato dal naso.
- Per chi mi hai preso?
Mi lanciò i miei effetti personali e li afferrai all'altezza dell'inguine, mandando in predicato i miei futuri ipotetici figli. Controllai il portafoglio mentre Simon mi guardava, deluso per non essermi fidato di lui. C'era tutto, e anche più di quel che ricordassi. Infatti trovai una banconota da 20 in più ed un biglietto da visita completamente nero, con l'angolo in basso a destra di colore rosso.
Lo presi fra il pollice e l'indice sul lato minore sinistro, lo voltai e rivoltai ma non trovai nessuna scritta. Lo mostrai a Simon dalla parte con l'angolo rosso e chiesi con una risatina:
- E questo che cazzo è?
Simon si bloccò, spalancò gli occhi e divenne pallido come la morte. Terrorizzato puntò un dito grassoccio verso di me e fece due passi indietro barcollando. Le sue labbra si muovevano, ma dalla sua bocca non uscì nessun suono. Tremava fino al midollo.
Mi voltai per capire se qualcuno alle mie spalle poteva essere entrato ed aver puntato un'arma al commesso, ma il negozio era completamente vuoto, fatta eccezione per noi due.
Simon intanto era corso dietro il bancone, abbassandosi e sbirciando verso me che ancora tenevo il biglietto in mano, confuso.
- Signor Pendra!
Era la voce di un uomo che si sta cagando addosso dalla paura.
- Signor Pendra! Prenda quello che le serve, quello che vuole, ma non torni più qui!
- Andiamo Simon, mi hai sempre chiamato per nome e sfottuto. Cosa c'è che non va, ora?
Con fare calmo rimisi il biglietto nel portafoglio e quest'ultimo in tasca, convinto che fosse uno dei soliti stupidi scherzi di quell'idiota. Ma non era uno scherzo, come capìi dal tanfo che arrivava da dietro il banco.
- Cristo, Simon! Ti sei cagato addosso! Cosa c'è?! Me lo vuoi dire?
Simon non rispose, e prese il fucile che teneva nascosto sotto la cassa, puntandomelo contro. Tremava ancora, e ancora continuava a puzzare. Alzai le mani. Gli urlai contro.
- Dai deficiente! Non fare stronzate! Mi conosci da troppi anni! Che ti è preso?
Con voce tremante, appena un sussurro rauco, mi ripetè quel che mi aveva chiesto poco prima:
-Prenda quello che le serve e se ne vada!
La paura si stava trasformando in disperazione. Sia la mia che la sua.
- Ok! Ok! - Urlai incazzato. Cominciava a capire che non solo lui aveva una fifa fottuta.
Allungai la mano ad agguantare una bottiglia di Jack Daniel'S, poi una di Jameson ed un'altra ancora di Jack. Stavo per girarmi verso l'uscita,i nvece mi voltai di nuovo per fare una scoglionata battuta del cazzo, giusto per allentare la tensione. Una cazzatina, giusto un: - Il servizio qui fa schifo! -, quando quel coglione premette il grilletto.
Accaddero troppe cose contemporaneamente, in un istante solo.
Sentìi di nuovo quello strano sospiro sul collo, mentre mi abbassavo di scatto lasciando cadere le bottiglie per evitare il colpo. Con le braccia a coprire la testa, chiusi gli occhi.
Passarono (credo... ) trenta secondi circa prima che avessi di nuovo il coraggio di aprirli ancora. In quel momento, capìi di non essere pazzo: sarebbe stato troppo anche per un malato di mente quello che vidi.
Le bottiglie non erano cadute, come fossero state incollate in aria da uno spiritello spaccacazzo. Qualcuno aveva calcato pausa di nuovo. O forse era stop.
Mi alzai spaventato e mi guardai attorno, in un'atmosfera che cominciavo a sentire mia. Le bottiglie non cadevano.
Simon aveva la faccia girata da un lato, occhi chiusi e bocca semiaperta in una smorfia di pura fifa nera. Come una scena di un brutto film, era rimasto immobile mentre sparava.I l fucile eruttava scintille immobili e incandescenti.
E ora che cazzo dovevo fare? L'unico colore diverso dal grigio che vedevo di solito era il rosso delle scintille, mortalmente contrastante con tutto il resto, storpio nella sua altezza innaturale. Nessun rumore.
Di nuovo. Era successo di nuovo!
Avvicinandomi lentamente al bancone, notai che il colpo stava appena uscendo dalla bocca dello sputafuoco. Come in trance, provai a prendere un pallino di quella roba diretta verso di me, e ritrassi quasi istantaneamente la mano, accompagnando il movimento con un urlo. Quel figlio di puttana scottava come l'inferno! Urlai di nuovo:
- CAZZO! CAZZO! CAZZO!
Mentre urlavo il locale ed il pavimento rimbombavano. Non poteva essere un terremoto, tutto era immobile...
All'improvviso capìi. La voce era diversa da quella che usavo di solito, ma era la mia. Era stato il mio grido a rimbombare in tutte le superfici attorno.
Ero stato io.
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